martedì 25 ottobre 2016

La prima opera letteraria scritta al computer

  
 
Jerry Pournelle (da Wikipedia in lingua italiana): detentore di un primato?
Dicevo… il mio venerdì a Doha è stato in buona parte speso a leggere un libro affascinante, Track Changes di Matthew G. Kirschenbaum. Il libro fa la storia del modo in cui gli scrittori hanno adottato il “word processing”, e io sono rimasto incantato da tutti i dettagli che emergono dalla ricerca.
 
Va precisato che il lavoro è centrato in sostanza sulla sola letteratura di lingua inglese negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Ricerche precedenti, come quella di Domenico Fiormonte, hanno un respiro decisamente più internazionale. Ma Kirschenbaum è onesto sui limiti, e, al loro interno, parte cercando di rispondere a un dubbio di base: qual è stato il primo romanzo scritto usando un word processor? Nel caso della macchina da scrivere, c’è una risposta definita perché il primo romanzo della letteratura statunitense consegnato all’editore come dattiloscritto è stato Life on the Mississippi di Mark Twain (1883). Nel caso del “word processing”, invece, le cose sono più incerte.
 
La lettura è gradevolissima, ma un punto debole del libro dal punto di vista della ricerca è che gli argomenti sono presentati a pezzetti, all’interno di più capitoli. Un quadro logico del word processing avrebbe meritato un capitolo a parte, per esempio. Io mi sono fatto una schedatura sistematica del libro e poi sono andato a prendere i pezzi associati e li ho ricomposti. Provo a sintetizzare qui quanto Kirschenbaum dice sul problema di partenza: chi è stato il primo scrittore a sedersi “in front of a digital computer’s keyboard and compose a published work of fiction or poetry directly on screen” (p. 244)?
 
Forse non sapremo mai con sicurezza la risposta a questa domanda, dice Kirschenbaum. Forse è stato Jerry Pournelle, o David Gerrold, o Michael Crichton o Richard Condon o qualcun altro non preso in esame in Track Changes libro. Probabilmente è successo nel 1977, o al più tardi nel 1978. Inoltre, probabilmente è stato uno scrittore “popular”, e di lingua inglese. Ma vale la pena vedere in dettaglio alcuni casi specifici.
 
Jerry Pournelle
 
I lavori di Gerrold, Crichton e Condon non sono descritti in dettaglio nel libro. Tuttavia, Kirschenbaum parla a lungo del suo candidato più forte, uno scrittore di fantascienza ben noto agli addetti ai lavori, ma non all’esterno: Jerry Pournelle. La sua storia viene raccontata in dettaglio nel quinto capitolo, intitolato “Signposts”, cioè ‘cartelli stradali’.
 
Il titolo del capitolo si riferisce agli scrittori di fantascienza deriva dal fatto che Isaac Asimov diceva, riguardo al futuro, di essere un “cartello stradale”, cioè uno che indicava la strada, non uno che avrebbe fatto davvero le cose raccontate nei suoi libri. Però, quando fu il momento, anche lui passò rapidamente alla scrittura con il computer. E, come dice Kirschenbaum: “As a group, science fiction (SF) authors accounted for more early converts to word processing than any other community or constituency within the literary field. In my estimation, SF authors were ahead of the popular adoption curve by three to four years”, cioè già a partire dal 1978.
 
L’ovvia spiegazione per questo stato di cose è il fatto che i computer erano “fantascientifici” (p. 93). Kirschenbaum tuttavia non è convinto che sia questa la ragione, perché i computer della fantascienza erano grossi e senzienti… e gli scrittori di fantascienza “no more predicted or successfully anticipated word processing (…) than any other genre or constituency” (p. 95). Non mi sembra che questo però sia una grande controindicazione! Anche se piccoli, i computer di fine anni Settanta odoravano di futuro.
 
Un altro fattore poteva essere la presenza di evangelizzatori come Jerry Pournelle, che fu forse, appunto, il primo autore a scrivere “published fiction on a word processor” inviando all’editore lo stampato (p. 96). Non è peraltro sicuro quale sia stato il lavoro completato in questo modo.
 
La definizione di “lavoro” è poi particolarmente indicata perché per Pournelle scrivere era esattamente questo. In particolare, una cosa che proprio non gli piaceva era “‘retyping an entire page in order to correct half a dozen sentences’” (p. 97). Va inoltre notato che, nonostante lavorasse già con i computer, fino al 1977 a Pournelle non era venuta in mente l’idea di usarli per scrivere (p. 98). Quando fu il momento, però, non si limitò a comprare un prodotto preesistente costruì assieme a un amico un suo computer originale, basato sul microprocessore Z-80, cui diede il nome di “Zeke”.
 
Secondo Pournelle, il computer gli fece subito risparmiare un sacco di tempo, permettendogli di scrivere più rapidamente – e quindi, nella sua ottica, meglio. Nel 1979 Pournelle, scrisse assieme a Larry Niven il racconto “Spirals” che fu pubblicato lo stesso anno e forse è il primo testo pubblicato prodotto con “Zeke” (p. 99). Inoltre, nonostante tutte le difficoltà tecniche (p. 100), Pournelle sperava che il computer potesse aiutarlo anche nei calcoli connessi con la sua narrativa.
 
Se Pournelle è il candidato più forte, Kirschenbaum tuttavia ricorda che molto dipende dalle definizioni. Nel libro sono quindi descritti due casi precedenti che, volendo, potrebbero a loro volta rappresentare i primi esempi di scrittori al computer.
 
John Hersey
 
Nel sesto capitolo del libro, Kirschenbaum dedica ampio spazio (pp. 131-138) alla storia dello scrittore John Hersey, autore di quello che potrebbe essere uno dei primi romanzi realizzati “al computer”: My Petition for More Space (1974). Hersey, divenuto responsabile della Pierson Press a Yale, incoraggiò il lavoro di due collaboratori, Peter Weiner e il capo del dipartimento di grafica della Yale School of Art, Alvin Eisenman, che collegarono un computer PDP-10 a una macchina per fotocomposizione Mergenthaler. A quei tempi le macchine per fotocomposizione ricevevano istruzioni attraverso nastri di carta, ma si stava diffondendo anche l’impiego di computer. Hersey non solo approvò il lavoro ma si lanciò con passione nell’uso del programma sviluppato per questo compito, LINTRN.
 
Eisenman e Weiner resero disponibile a Hersey anche un programma di scrittura chiamato Editor, notevole anche per il suo modello computazionale del testo, visto come una pagina bidimensionale anziché come una stringa monodimensionale (p. 134). Il programma era peraltro molto difficile da usare: a Hersey richiese un mese di addestramento, anche se le funzioni di ricerca vennero molto apprezzate. Hersey lo usò appunto per scrivere il suo romanzo.
 
Il testo che Hersey digitava, tuttavia, era stato precedentemente scritto a penna (in corsivo), e il romanzo era stato elaborato in modo del tutto indipendente dal computer. Durante l’elaborazione, anche se Hersey modificò molte parole e molti giri di frase, “he did not appear to add or remove sustantial portions of the text once it had been input into the Editor” (p. 136). Mancava quindi qualcosa, rispetto alla composizione completamente al computer. Eppure questo lavoro è comunque significativo: anticipa Pournelle di quattro o cinque anni, e le attività svolte rientrano in pieno in ciò che oggi definiremmo “word processing”.
 
Len Deighton ed Ellenor Handley
 
Un altro antecedente è ancora più antico. Come scrive Kirschenbaum nelle prime righe dell’ottavo capitolo, infatti, “What is very likely the first novel written with a word processor wasn’t written on a word processor with a screen and its words weren’t ‘processed’ by the novelist who wrote it”: si tratta di Bomber di Len Deighton, pubblicato nel 1970.
 
Deighton aveva un’assistente, Ellenor Handley (p. 167). Infatti, il ruolo di “segretaria” o “dattilografa” esisteva anche per gli scrittori, oltre che nel lavoro da ufficio. “But while Updike dismissed his typist once he got a word processor, many others, like Stephen King, did not. Both before and after the advent of word processing, as Leah Price and Pamela Thurschwell have compellingly demonstrated, the literary secretary occupied a unique place, ‘iconic and yet invisible’, at the intersection of labor, gender, and inscription”. Visto che Ellenor Handley aveva ribattuto alcune stesure di capitoli di Bomber fino a due dozzine di volte, Deighton acquistò un IBM MT 72, noto anche come Magnetic Tape Selectric Typewriter (1964), che oltre a battere i caratteri li registrava su un nastro magnetico, permettendo di ribattere in automatico una pagina in caso di correzioni (p. 168). Non solo questo rendeva possibile eliminare le copie carbone, ma le sofisticate funzioni della macchina permettevano per esempio il mail merge, la ricerca nel testo e così via (p. 169). Il risultato, venduto a $ 10.000, era una macchina venti volte più costosa della normale IBM Selectric. A venderla era inoltre la sezione dell’IBM dedicata ai prodotti da ufficio, che la presentava come economica soluzione per il “power typing” (p. 171).
 
Nella pratica, Deighton lavorava in piedi su una Selectric alimentata da carta da telescrivente, mentre la sua segretaria si occupava della nuova macchina (p. 180). Tuttavia, entrambi si trovavano nella stessa stanza: “even as literary production modeled itself on corporate practice, it modified and scaled those practices to more human levels where traditional roles and distinctions might erode” (p. 181). Il libro fu il primo a essere composto dall’autore anche su nastro (p. 182), e le mani che si occuparono di questo lavoro furono quelle di Ellenor Handley (p. 183).
 
Del resto del libro parlerò in altri post.
 

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