venerdì 17 giugno 2016

La mostra su Aldo Manuzio a Venezia

  
 
Il simbolo del delfino, usato da Aldo Manuzio: Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=776238
L’altro ieri sono riuscito a vedere la bellissima mostra su Aldo Manuzio alla Galleria dell’Accademia a Venezia. Purtroppo chiude domenica 19 giugno, ma se qualcuno ha la possibilità di andarci negli ultimi giorni… consiglio caldamente di farlo!
 
La mostra permette di vedere il lavoro di Manuzio da una serie di angolazioni difficili da recuperare andando in biblioteca. Mi sembra che nell’allestimento manchi un solido filo di presentazione basato proprio sull’attività tipografica ed editoriale, come è stato notato anche da Stefano Salis: l’allestimento consiste in una serie di stanze dedicate a temi molto diversi tra di loro che sembrano serie di digressioni attorno a un centro che non c’è. Ma la cosa è decisamente secondaria. Quel che conta è ciò che si vede, e la scelta è in alcuni casi fantastica.
 
All’ingresso, tanto per dire, c’è uno dei teleri di Sant’Orsola di Carpaccio. Ma di fronte c’è una coppia di oggetti ancora più incredibile, dal Museo Correr: l’enorme xilografia con panorama prospettico di Venezia realizzata nel 1500 da Jacopo de’ Barbari , accompagnata da una delle matrici in legno originali. Già davanti a questa sono rimasto un bel pezzo a perdermi nei dettagli… i libri di Aldo hanno trasformato in profondità la cultura, ma oggetti come questo sono stati quasi altrettanto importanti e hanno il pregio di essere visivamente assai più immediati.
 
Per l’editoria vera e propria ci sono poi dei pezzi incredibili, tanto che anche solo scegliere quale citare è imbarazzante. Una delle rarissime copie stampate da Aldo su carta azzurra, per esempio, sorprendentemente leggibile. Oppure una scelta dei manoscritti di Bartolomeo Sanvito usati da Aldo come modelli per le sue stampe, accompagnati dalla richiesta aldina di prestito. L’edizione delle Epistole di Caterina da Siena mostrata aperta alla pagina in cui compare il primo uso del corsivo tipografico realizzato per Manuzio da Francesco Griffo. Tre copie degli Epigrammi di Marziale che, aperte alla stessa pagina, ne mostrano rispettivamente: la versione “liscia”, in cui lo spazio per inserire una maiuscola illustrata è lasciato vuoto, così come stampato da Aldo; la versione in cui la maiuscola illustrata è stata fatta inserire da un acquirente più facoltoso del precedente; e la versione sontuosamente miniata da Benedetto Bordone (inoltre, per me, scoprire la quantità dei legami di quest’ultimo con Aldo è stata una delle soprese della mostra).
 
Anche per il lato artistico ci sono pezzi incredibili. Al di là della Tempesta di Giorgione (…) messa, in modo un po’ opinabile, a “illustrare” l’edizione aldina degli Idilli di Teocrito, spiccano il ritratto di Luca Pacioli (forse di Jacopo de’ Barbari) e quello di Erasmo da Rotterdam di Quentin Matsys.
 
Soprattutto, in chiusura di mostra ci sono quattro pezzi, sparati con legittima tracotanza uno accanto all’altro. Tre di essi ritraggono persone con libretti di lusso in mano, e ognuno di questi ritratti, da solo, giustificherebbe l’esistenza di un museo in qualunque parte del mondo: il Ritratto d’uomo col petrarchino del Parmigianino, il Ritratto di Laura da Pola di Lorenzo Lotto e il probabile Ritratto di Jacopo Sannazaro di Tiziano; in più, il notevole Ritratto di giovane donna di Palma il Vecchio, che peraltro in una serie così compatta spicca come un intruso.
 
Va in effetti notato che, al di là dell’arditezza di alcuni accostamenti, la mostra ha qualche limite espositivo che le impedisce di arrivare all’eccellenza assoluta. Certo, nessuno si aspetta che i materiali informativi facciano a gara con la qualità delle stampe aldine… ma in una mostra simile non dovrebbero nemmeno essere così di contrasto. Non produce una dissonanza cognitiva da poco, il fatto che l’eleganza del corsivo di Francesco Griffo (peraltro chiamato “Grifo” in almeno una didascalia) venga esaltata in una mostra in cui abbonda l’Helvetica corsivo! Un utilissimo prospetto delle edizioni aldine, anno per anno, è reso poco leggibile dal fatto che le cornici grafiche usate per presentarlo, che dovrebbero evocare pagine di libri, a volte presentano i libri di un anno su pagine isolate, a volte inseriscono in una doppia pagina i libri di due anni diversi, altre usano la doppia pagina per presentare un unico anno, e così via, in modo apparentemente casuale. Soprattutto, l’installazione dello Studio Fludd dedicata all’Hypnerotomachia Polyhili sembra realizzata in un paio d’ore con i cartoncini che per caso erano disponibili in cartoleria (“Me ne serve un centinaio al volo… Come ci sono? Color crema? Benissimo…”). Ma davanti ai pezzi raccolti, tutti questi sono dettagli minori.
 
Una nota di merito anche per l’ottima audioguida, scaricabile gratuitamente come file MP3 in italiano e in inglese. Ahimè, non è come visitare la mostra di persona… Ma a questo non c’è rimedio.
 
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