martedì 5 novembre 2013

Okrent, In the land of invented languages

 
 
Arika Okrent, In the land of invented languages
In the land of invented languages si è rivelato un compagno di viaggio divertente e utile – anche in vista della presentazione su Licklider che ho fatto la settimana scorsa. Il libro di Arika Okrent (Spiegel & Grau, 2009; attualmente €8,36 per la versione su Kindle), infatti, è un raro esempio di testo divulgativo che riesce a fornire elementi nuovi anche agli addetti ai lavori, oltre che un quadro d’assieme.
 
L’argomento del libro è la creazione di lingue artificiali, dal Medioevo a oggi. La prima parte di questo percorso è stata già coperta da testi classici, a cominciare da La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea di Umberto Eco, e qui le novità sono ovviamente poche. Si parte infatti dalla Lingua ignota di Hildegarda di Bingen, si transita per tutti i meravigliosi tentativi seicenteschi di produrre inventari delle idee e creare lingue filosofiche, si passa da Leibniz e si arriva…
 
Beh, non si arriva da nessuna parte, perché il discorso cambia. Constatata l’impossibilità di realizzare lingue filosoficamente perfette, capaci di descrivere in modo oggettivo la realtà, tra Sette e Ottocento le persone serie abbandonano l’impresa. Nel corso dell’Ottocento invece i casi di successo nella creazione di lingue artificiali sono ispirati da un’idea nuova: migliorare la comprensione tra i popoli. L’idea è che una lingua semplice e nuova, che non favorisce un gruppo particolare di parlanti, possa essere un contributo alla pace mondiale, e l’esperanto di Zamenhof è ancora oggi il caso di maggior successo in questo settore.
 
Tutto questo è ben descritto nel libro. Il punto però in cui la trattazione eccelle e risulta anche nuova è il Novecento e l’inizio del nuovo millennio. In cui fiorenti comunità di esperantisti convivono con nuovi tentativi di creare lingue filosofiche, mentre prosperano – ed è la maggiore novità degli ultimi anni – lingue create unicamente per scopi estetici e per divertimento, a cominciare da quelle prodotte da Tolkien al servizio dei suoi libri (o viceversa). Il sottotitolo del libro è quindi una buona sintesi di ciò che si trova negli ultimi capitoli: Esperanto Rock Stars, Klingon Poets, Loglan Lovers, and the Mad Dreamers Who Tried to Build A Perfect Language.
 
Nel complesso, la componente informativa di In the land of invented languages mi sembra molto solida, anche se io sento la mancanza di una vera e propria bibliografia di riferimento (e ha scopi poco più che illustrativi la presenza di una lista di 500 linguaggi inventati, che sono stati scelti a campione e su cui non viene fornito nessun dettaglio). La componente di intrattenimento è fornita dal fatto che l’autrice è andata per esempio a incontrare le persone che parlano, o provano a parlare, in lojban, o in klingon, cercando di capire le motivazioni che stanno dietro ai singoli e alle relative comunità. Ottenendo anche, nel corso delle ricerche, un certificato di primo livello di conoscenza del klingon, come è riportato sul sito web dedicato al libro, dove è possibile leggere qualche capitolo di prova. Insomma, a me è capitato non solo di imparare qualcosa (che finora non avevo trovato da nessun’altra parte) sul blissymbolics o sul lojban, ma anche di divertirmi in viaggio.
 

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