mercoledì 30 ottobre 2013

A Parigi con Licklider

 
 
La locandina di HaPoC all'Ecole Normale Superieure
In questi giorni sono a Parigi per partecipare al convegno HaPoC – History and Philosophy of Computing. La partecipazione non solo da parte italiana, ma anche solo da parte pisana (e dintorni) è sorprendentemente entusiasta… sono presenti anche Fabio Gadducci, Giovanni Cignoni ed Elisabetta Mori, che hanno fatto due ottimi interventi sulla storia dell’informatica in Italia.
 
Io invece ho parlato del lavoro di J. C. R. Licklider, e in particolare del suo libro Libraries of the Future (1965), che mi sembra la prima descrizione dettagliata di un progetto di sistema informatico destinato non solo ad archiviare, ma anche ad elaborare la conoscenza umana depositata in libri e articoli scientifici. Un ringraziamento particolare in proposito va ad Elisa Bianchi e Simona Turbanti, che gentilmente mi hanno fornito indicazioni molto utili sul rapporto tra il progetto di Licklider e le attuali tecnologie del web semantico (in particolare RDF e OWL).
 
Come mai sono ritornato fino a Licklider? Beh, negli ultimi anni mi sto interessando molto alla storia dell’informatica perché presenta molti sistemi di interazione che negli anni sono stati abbandonati a favore di un modello molto ristretto. Adesso si può sperimentare con maggiore libertà – anche dal punto di vista dell’hardware – ma mi sembra che ci sia una scarsa produzione di concetti veramente nuovi… tornare indietro può essere illuminante.
 
D’altra parte, nel caso di Licklider uno dei concetti di base non è, ahimè, recuperabile, perché si basa su un percorso di ricerca che non ha compiuto progressi significativi: l’analisi del linguaggio naturale. La speranza espressa dall’autore era che, semplicemente, fosse possibile tradurre con facilità un testo dall’inglese tecnico a un “unambiguous English” elaborabile in automatico. O meglio, gli esseri umani avrebbero potuto scrivere direttamente in “unambiguous English” oppure tradurre in questa lingua (facendosi aiutare da computer e controllando poi la traduzione con gli autori del testo originale… Licklider si spinge fino a stimare che un articolo di dieci pagine avrebbe potuto essere controllato attraverso una riunione lunga solo un’ora!).
 
Naturalmente il problema qui è alla radice. Il linguaggio umano, incluso quello dei testi tecnici, non può essere facilmente trasformato in linguaggio formalizzato. Le ambiguità sono frequentissime e scioglierle formalmente richiede uno sforzo enorme – e a occhio molto superiore, nella maggior parte dei casi, ai vantaggi che si possono avere da una traduzione su cui le macchine possono lavorare. Stato di cose che viene confermato, su un altro versante, dall’impossibilità pratica per gli esseri umani di parlare lingue molto formalizzate, a cominciare dal lojban.
 

giovedì 24 ottobre 2013

Da Córdoba a Buenos Aires

 
 
La Manzana Jesuítica a Córdoba
Dei miei spostamenti in Sudamerica, l’unico aspetto che non mi è piaciuto è stato il poco tempo libero. Non ho avuto modo di fare il turista tradizionale, insomma; neanche in posti come il Perù, dove in poche ore di macchina si entra in un mondo diverso... credo!... e dove difficilmente capita di andare per altri motivi.
 
Oh, beh. Cose normali quando si viaggia per lavoro, e la giornata trascorsa a Córdoba è stata in compenso molto interessante. In buona parte, grazie alla gentilezza del dottor Cesare Vaccani dell’Istituto Italiano di Cultura, che mi ha cortesemente accompagnato negli spostamenti e anche a un piacevolissimo intermezzo con il Console Marco Matacotta Cordella e con il tenore Gianluca Zampieri, impegnato nell’Otello per le celebrazioni verdiane.
 
Il mio programma prevedeva due presentazioni, entrambe sull’italiano del web. La prima era alla Scuola Dante Alighieri, ed era rivolta soprattutto agli insegnanti (che comprendono anche studenti e laureati ICoN). La seconda era alla Facultad de Lenguas dell’Universitad Nacional, dove sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’alto livello degli studenti – che hanno mostrato una conoscenza molto sofisticata della lingua.

Illuminazioni notturne a Córdoba

Il giorno dopo, valicando i 700 km di distanza grazie alle Aerolíneas Argentinas, mi sono spostato da Córdoba a Buenos Aires e sono stato accolto all’Istituto Italiano di Cultura dalla Direttrice, Maria Mazza, e dal Dirigente dell’ufficio scolastico Vittorio Dragonetti, oltre che da Marco Marica e Dora Pentimalli. La sala della presentazione era quasi monumentale, e il pubblico variato ma molto interessato. Anche a Buenos Aires sono poi presenti studenti e laureati ICoN!
 
Stamattina, tuttavia, mezza giornata libera me la sono ritrovata (la seconda in due settimane). Ne ho approfittato per andare a piedi lungo la calle Florida fino alla Casa Rosada e alla Plaza de Mayo: centro di molti telegiornali della mia adolescenza, e ancora oggi centro di molte proteste contro il governo. È più piccola di come me l’ero immaginata...

A passeggio per calle Florida

Il percorso è stato anche l’occasione di vedere da vicino le contraddizioni dell’Argentina di oggi. Che è un paese in crescita economica, ma con pesantissimi controlli sull’economia e molti canali di aggiramento: l’importazione di beni e servizi è difficile e il tasso di cambio ufficiale è ben lontano da quello reale. Al punto che la calle Florida in alcuni tratti sembra un curioso incrocio tra un coro e un mercato, con decine di persone che gridano “cambio! cambio!” ai passanti.
 
Ma le contraddizioni assumono anche forme decisamente peggiori. Arrivando dall’Aeroparque Jorge Newbery in centro, per esempio, si costeggia una delle grandi baraccopoli (“Villas miserias”) di Buenos Aires, la Villa 31. Il contrasto con l’aspetto europeo dei quartieri principali non potrebbe essere più marcato.
 
Nel pomeriggio, comunque, ho avuto la fortuna di poter visitare anche la Scuola Cristoforo Colombo, grazie alla professoressa Renata Bruschi, e di parlare con il Preside Olmi. Anche in questo caso la struttura si è rivelata di ottimo livello… qui mi si vede di passaggio nei corridoi delle elementari:


Scuola Cristoforo Colombo a Buenos Aires

Alla fine ho concluso il soggiorno con una visita a una delle “librerie più belle del mondo”, o almeno delle più spettacolari: la Grand Splendor della catena Ateneo, in Avenida Santa Fe. Sistemata in un cinema ristrutturato, è un posto in cui ci si può sistemare con tutta calma a leggere in una poltrona su un palchetto, o al tavolino del bar interno. Io ne ho approfittato alla grande, anche se i prezzi ufficiali rendono gli acquisti poco convenienti.


Bene, questo è tutto. Domani mattina mi aspetta un lungo volo sull’Atlantico. L’Argentina è invitata a non piangere per me! Anche perché spero di ritornare presto, e con un po’ più di calma.
 

martedì 22 ottobre 2013

Il possente Paraná

 
 
Il monumento alla Bandiera argentinaRosario, terza città dell’Argentina, si stende sulla sponda destra del Río Paraná. Il centro abitato è stato per lungo tempo separato dal fiume dalle infrastrutture portuali e dal muro che le circondava; negli ultimi anni, però, il porto è stato spostato a monte e l’area che occupava è oggi diventata un passeggio popolare. Il che, come mi è stato spiegato, ha cambiato molto il rapporto tra Rosario e il suo fiume.
 
Anche il principale punto di riferimento della città, il monumento alla Bandiera argentina (usata qui per la prima volta), non solo sorge sulla riva ma dedica al Paraná un’imponente statua. All’interno della struttura, una solenne citazione avverte che “La bandera que alzóse / en el Rosario / del argentino es gloria / o es sudario”. Pochi passi più avanti, il monumento agli ultimi per cui è stata sudario: i caduti nelle Falkland.
 
In un contesto meno malinconico, invece, sabato mattina ho partecipato alla conclusione del corso di aggiornamento per docenti La lingua italiana di oggi nella didattica L2 organizzato dal Consolato Generale d’Italia a Rosario e da ICoN. La sede era la sezione storica del Consolato, in una bellissima casa signorile d’inizio Novecento. Il Console Giuseppe D’Agosto ha consegnato i diplomi e io ho finalmente avuto la possibilità di conoscere di persona i corsisti e altri studenti o laureati ICoN. Ma, soprattutto, Marcello Garbati, il dirigente scolastico che ha organizzato il corso e che mi gentilmente accompagnato, assieme a sua moglie, in giro per Rosario. E Loredana Cappai, lettrice MAE, che ha gestito ottimamente gli appuntamenti in presenza. Più diverse docenti e corsiste. L’accoglienza è stata splendida e amichevolissima!

La mia presentazione a Rosario

A fine cerimonia ho fatto una presentazione complessiva delle attività del Consorzio. Va detto però che l’evento è stato quasi imbarazzante, per tutte le lodi che sono state espresse nei confronti sia del corso sia di ICoN in generale! L’attività che abbiamo svolto, a quel che sembra, viene incontro a un’esigenza precisa e molto sentita, soprattutto in un momento in cui i tagli costringono a ridurre il numero di formatori inviati direttamente dall’Italia. L’Argentina sta vivendo un periodo di grande crescita economica, ma al tempo stesso ha bloccato o reso difficili molte importazioni – a cominciare da quella di libri e materiali didattici. Aver realizzato un’attività di aggiornamento a basso costo ha permesso senz’altro di migliorare l’offerta nel settore in un momento complicato.
 
La domenica, invece, mi sono ritrovato con la mattina libera, in attesa della partenza per Córdoba. Il Paranà scende dal Brasile, attraversa il Paraguay e arriva a Rosario con un colore marroncino non particolarmente invitante, ma la sua sponda sinistra è del tutto disabitata, o meglio, è fatta da un intrico di isole e canali che dà molto respiro al panorama urbano. Ho provato quindi innanzitutto a unirmi a una delle escursioni che partono dall’Estacion Fluvial, in centro, e permettono di rientrare in kayak (mezzo di trasporto che a me piace molto) passando appunto dai canali secondari. Mentre stavamo per imbarcarci, però, è arrivato un acquazzone niente male… escursione cancellata all’ultimo minuto!
 
Per recuperare lo smacco sono andato a passeggio sui lunghi viali che costeggiano appunto il Paranà. E, man mano che il cielo si rischiarava, mi è venuta un’idea: perché non andare a fare il bagno? In fin dei conti Rosario ha un po’ di spiagge attrezzate dove si può appoggiare lo zaino in ragionevole sicurezza.

Praticamente Baywatch

Così alla fine ho preso un taxi e sono andato al Balneario La Florida, poco prima del Ponte de la Vitoria. Ingresso, cambio, tuffo. Una corda a pochi metri dalla riva isola l’area in cui si può fare il bagno e io ne ho approfittato. Lo spettacolo non era male, perché davanti al bagnante passa una bella sezione del commercio mondiale: grandi navi mercantili risalgono vuote il fiume e navi altrettanto grandi lo discendono, cariche di soia, pronte a sfamare la Cina. Il fondo, certo, era una fanghiglia, e l’acqua non particolarmente invitante, ma dal punto di vista di chi ha nuotato nel Gange a Varanasi… Soddisfatto, mi sono messo a sguazzare tra le onde. Nemmeno troppo fredde, a dire il vero. Del resto il fiume scende dal Brasile, e dai Tropici.
 
Poi rientro in centro, aggirando lo stadio dove orde di tifosi stavano convergendo per la partita Central Rosario – Newell’s. E fermata alla stazione degli autobus, in attesa del primo servizio “semicama” per Córdoba. Sei ore di autobus, e pronto per la prossima.
 

sabato 19 ottobre 2013

In volo sulle Ande

 

Niente male, lo ammetto...
Un po’ me l’aspettavo, ma il panorama che si vede volando tra l’estuario della Plata e il Perù è spettacolare, ed è stato nel suo assieme una delle sorprese più belle del viaggio. Volo TACA all’andata (da Montevideo) e al ritorno (a Buenos Aires, con due ore e passa di ritardo, ahimè).
 
Non tanto per la sezione uruguayana e argentina, ovviamente, che è ravvivata solo dall’intricata rete fluviale che fa capo al Paranà e che è una serie di affluenti tortuosi, lagune e meandri. Per il resto, il panorama di questa tratta è fatto solo di pianura: piattissima e ricoperta di campi. Che diventano sempre più grandi man mano che ci si allontana dalla costa.
 
Sul Paranà

Poi i campi iniziano a diventare più gialli e di colpo, andando verso Lima, il paesaggio cambia. Inizia la zona della Cordigliera, che rimane in vista per più di metà viaggio. L’aereo, se ho visto bene, taglia attraverso le montagne e i deserti del Cile settentrionale, con vulcani coperti di neve che dominano laghi e paesaggi di dune.

Che pianeta è?


Pochi i segni di abitazione umana. Ogni tanto una strada, o una grande miniera. In qualche caso, un minuscolo rettangolo di campi che è l’unica cosa verde in un paesaggio marziano. Alla fine si arriva sul deserto costiero del Perù, con le dune a due passi dal mare.

La costa del Perù a sud di Lima

E poi si atterra sotto il cielo grigio di Lima… o, al ritorno, se ne riparte per sbucare a vedere il sole.

venerdì 18 ottobre 2013

En caso de TSUNAMI

 
 
E in fretta...
Lima è un posto molto curioso, dal punto di vista geografico. Intanto, uno se la immagina in montagna: idea che, ho scoperto, è molto diffusa. E invece Lima è sul mare, anzi, per la precisione, sull’Oceano Pacifico, che guarda dall’alto di una trentina di metri di scarpata. La strada dall’aeroporto a Miraflores passa lungo le spiagge, che al momento sono coinvolte da grandi lavori destinati a trasformarle in parco.
 
Parco con passerelle, però. Lima è zona di terremoti e dalle spiagge parte un sistema di vie di fuga destinato a facilitare l’evacuazione “en caso de tsunami”. L’Oceano Pacifico, grigio e freddo, attende lì davanti, e devo dire che ha un aspetto un po’ inquietante, nonostante i surfisti fiduciosi.
 
Grigio? Freddo? Ma Lima non è ai Tropici? Sì, lo è, ma il suo microclima è sorprendente, e ben descritto nella relativa voce di Wikipedia. Per tutto il mio soggiorno è stata coperta dalla coltre grigia che la ricopre quasi tutto l’anno. Lima non vede quasi mai il sole, e le temperature possono essere molto basse, anche se non arrivano allo zero: di sicuro, anche con giacchetta e maglioncino, andando in giro la notte il freddo e l’umido si sentivano. In più, non piove praticamente mai (ogni tanto arriva qualche gocciolina isolata), e le case sono quindi sprovviste di tetto, oppure hanno tetti più ornamentali che altro, privi di grondaie. Ah, e, dimenticavo: la città è in pratica collocata in un deserto (freddo), completo di dune di sabbia, che si vede dall’aereo e si intravede nei pendii desolati delle colline più vicine al centro.
 
In questo scenario un po’ desolante, l’accoglienza all’Istituto Italiano di Cultura è stata in compenso molto calorosa! In particolare da parte dell’attuale direttore, l’Addetto culturale Stefano Cerrato (qui sotto siamo in posa semiufficiale in uno dei cortili dell’IIC), e di sua moglie Elena; ma anche da parte del coordinatore di corsi di lingua Giampaolo Molisina, laureato ICoN, e della lettrice MAE Maria Antonietta Tamburello. Grazie a tutti!
 
Cortile dell'IIC Lima

L’Istituto Italiano di Cultura di Lima è noto nel settore per un motivo molto preciso: in tutta la rete degli IIC, è quello che ha il maggior numero di iscrizioni ai corsi di lingua (oltre diecimila). Questo successo, come mi è stato spiegato, è in parte dovuto al fatto che le università peruviane richiedono agli studenti la conoscenza di più lingue straniere ma non organizzano corsi. In compenso, riconoscono i corsi di lingua sostenuti presso istituzioni come l’IIC, e gli ultimi direttori hanno utilizzato l’occasione per arrivare al record assoluto.
 
L’IIC del resto è una struttura anche fisicamente imponente, che ospita al proprio interno, oltre alle aule necessarie per i corsi, anche una scuola italiana e l’appena ristrutturato Teatro Pirandello, uno dei principali teatri di Lima. Da lì siamo partiti ieri per andare all’Universitad de San Marcos, dove ho raccontato le esperienze di ICoN nel settore della formazione via Internet. Argomento che oggi suscita, come si dice, “vivo interesse”, e che in effetti ha prodotto anche parecchie domande da parte del pubblico.

La Plaza de Armas di Lima
 
Unico rimpianto: il non essere riuscito, in due giorni di corsa, a vedere molto di Lima. Solo una puntata nella Plaza de Armas al momento del cambio della guardia, che marcia al passo dell’oca con la musica dei Carmina Burana di sottofondo… e una puntata di corsa al Museo Larco, di cui parlerò, spero, più avanti.
 

giovedì 17 ottobre 2013

Alpha Centauri

 
 
Piazza Indipendenza a Montevideo
Il mio primo soggiorno in Argentina è stato rapidissimo. Arrivato in albergo a notte, alle sei e un quarto sono ripartito per andare a prendere il traghetto Buquebus per Montevideo.
 
Devo dire che mi aspettavo qualcosa di più lento e tradizionale. Invece il servizio diretto tra Buenos Aires e Montevideo impiega una nave nuovissima, terminata a inizio 2013 dai cantieri di Hobart in Tasmania e immediatamente battezzata Francisco, con tanto di foto del Papa all’ingresso.
 
Devo dire poi che, tra i suoi molti lati positivi, il ventunesimo secolo ha anche questo: produce mezzi di trasporto comodissimi e pulitissimi. Cioè, voglio dire, all’imbarco del Francisco i passeggeri vengono obbligati a mettersi soprascarpe in plastica leggera, per non sporcare la moquette! E, tra bar e cromature, io ci ho messo un po’, a capire che non ero più nel terminal ma già a bordo.
 
Lo spirito dei tempi ha anche qualche controindicazione, beninteso. Che gli spazi siano divisi, e solo i passeggeri delle sale di classe superiore abbiano diritto a finestroni panoramici, non sorprende. Però è frustrante che non si possa in nessun modo uscire all’esterno della nave – anche se immagino sia una cosa ragionevole, visto che il traghetto fila ad alta velocità, lasciandosi dietro due spruzzi niente male. Ma la cosa più sorprendente è che metà battello è occupata da un duty-free in perfetto stile aeroporto, che apre un quarto d’ora dopo la partenza e chiude un quarto d’ora prima dell’arrivo…
A bordo del Francisco

Dopo tre ore di tragitto sulle acque calme del Rio de la Plata, comunque, il duty-free chiude appunto i battenti e il battello ormeggia. All’attracco uruguayano è venuto gentilmente a prendermi Michele Gialdroni, addetto reggente dell’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo. Sosta in albergo, pranzo, e poi visita all’Istituto stesso. Che è decisamente bello, collocato com’è in un edificio primo Novecento, parzialmente ristrutturato e già sede della Nunziatura apostolica. Io me ne innamoro immediatamente. Anche perché all’Istituto sono tutti gentilissimi.
Ingresso dell'IIC Montevideo

Approfitto di un po’ di pausa nel pomeriggio per risistemare la mia presentazione e fare due passi lungo il primo tratto delle Ramblas, la lunghissima passeggiata che parte dal centro di Montevideo e prosegue per decine di chilometri lungo il Rio. L’estuario ha un aspetto più da lago che da fiume, e in effetti le acque sono dolci, non salate… anzi, visto che sono un tipo diffidente, scendo a una spiaggetta e le assaggio. OK, dolci!
 
Naturalmente, però, il punto chiave della serata per me è la mia presentazione sull’italiano del web. Il pubblico è folto: in buona parte studenti dei corsi dell’Istituto. La discussione è vivace, le domande pertinenti… ottimo segno. Faccio anche un’intervista per un giornale locale.
 
All’uscita, il cielo notturno non lascia vedere molte stelle. Però anche nella foschia da città di mare balza all’occhio Venere, luminosissima in mezzo a costellazioni che non avevo mai visto. A poca distanza da Venere c’è una stella brillante che non riesco a identificare. Un rapido controllo su Distant Suns: toh, è Alpha Centauri…
 
Eh, però. La stella più vicina alla Terra: sempre citata, mai vista di persona. La facevo meno luminosa. Più bassa all’orizzonte dovrebbe esserci anche la Croce del Sud, che però nella foschia non si vede. Si vede in compenso la luna, rovesciata! Benvenuto nell’emisfero sud.

Giardini della Scuola Italiana di Montevideo

Il 16: nuova presentazione alla Scuola Italiana, in un bellissimo complesso nel verde a una ventina di chilometri dal centro. Mi accompagna la signora Galeotti, e facciamo anche una lunga e interessante discussione in taxi sulla linguistica storica. A sentirmi parlare ci sono i ragazzi degli ultimi due anni di scuola superiore, e io faccio una presentazione di taglio più divulgativo sull’italiano di oggi. Gli studenti mi sembrano molto convinti delle potenzialità della lingua! Poi incontri di lavoro, e preparativi per ripartire. La mia fermata uruguayana è stata breve ma intensa.
 

giovedì 10 ottobre 2013

Dal Serra alla Sierra (e ritorno)

 
 
Bandiera argentina - foto di lu6fpj
Domani inizia per me un mese intenso di presentazioni & spostamenti. Due continenti, cinque paesi, aerei di vario tipo, traghetti, bus e treni…
 
Si comincia domani con l’Internet Festival qui a Pisa. All’interno della manifestazione, venerdì 11 terrò un seminario dedicato a L’italiano del web (Palazzo dei Congressi, dalle 11 alle 13, all’interno di una sezione chiamata “T-Tour 4 Experts”). Dopodiché, parto per la Settimana della lingua italiana nel mondo, e dintorni, con destinazione l’America meridionale.
 
Per prima cosa, volo transatlantico fino a Buenos Aires. Poi traghetto sul Rio de la Plata: lunedì 14 alle 19 terrò una conferenza su L’italiano del web all’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo in Uruguay. Martedì 15, alle 10, sarò invece alla Scuola Italiana, sempre a Montevideo, a parlare de L’italiano di oggi.
 
Giovedì 17 alle 15, dopo aver attraversato in volo mezzo continente, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Lima, in Perù, parlerò di Università digitali  all’Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima (Facultad de Letras y Ciencias Humanas).
 
Dopo il Perù rientrerò in Argentina, e lì mi fermerò fino al ritorno in Europa. Sabato 19, per prima cosa, sarò a Rosario la mattina per assistere alla conclusione del corso di aggiornamento su La lingua italiana di oggi nella didattica L2 organizzato da ICoN in collaborazione con il Consolato generale d’Italia a Rosario.
 
Lunedì 21 sarò invece a Còrdoba, a parlare de L’italiano del web in due distinte occasioni, per eventi organizzati dall’Istituto Italiano di Cultura di Còrdoba: alle 11 presso la Scuola Paritaria “Dante Alighieri” e alle 17,30 presso la Facoltà di Lingue dell’Università Nazionale.
 
Il giorno dopo, martedì 22, sarò a Buenos Aires a fare una conferenza sullo stesso tema all’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires (alle 18.30).
 
Poi, rientrerò in Europa. Ma sarà ancora in movimento, perché il pomeriggio del 29 presenterò alla conferenza HaPoC (History and Philosphy of Computing) alla Normale di Parigi Back to the (Libraries of) the Future, un mio studio del modo in cui all’inizio degli anni Sessanta J. C. R. Licklider ha anticipato molti concetti del web semantico.
 
Infine, il 4 novembre inizierò a fare lezione per il corso di Linguistica italiana della triennale di Informatica umanistica qui a Pisa.
 
Sembra una corsa allo sfinimento? Senz’altro! Spero però sia anche una serie di esperienze interessanti…
 

lunedì 7 ottobre 2013

Diamond, Il mondo fino a ieri

 
 
Jared Diamond è l’autore di un importante libro sulla storia del mondo, Armi, acciaio e malattie. Il suo ultimo libro, che ho da poco ricevuto in graditissimo regalo nella recente traduzione italiana, si intitola Il mondo fino a ieri (Torino, Einaudi, 2013, pp. xiv + 504, ISBN 978-88-06-21452-4; titolo originale, The world until yesterday, 2012; traduzione di Anna Rusconi) e, come il precedente Collasso, contiene diverse cose interessanti ma non è altrettanto bello. Soprattutto, non è altrettanto significativo. Armi, acciaio e malattie presentava in modo intelligente e documentato un’idea ragionevole, definita e inedita sulla storia, sintetizzando con rara abilità dati provenienti da più campi disciplinari. Qui l’idea invece non c’è. A sostituirla, c’è una specie di spunto di discussione: “Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali?” (spoiler: non molto). Anche il livello dell’esposizione è stato poi molto abbassato, prendendo evidentemente come punto di riferimento un lettore statunitense e non molto istruito.
 
Beninteso, il libro è opera di una persona intelligente che non solo sa un sacco di cose, ma ha avuto diverse esperienze esotiche. Diamond ha trascorso lunghi periodi in Nuova Guinea, e ha una montagna di cose interessanti da raccontare in proposito. Una di queste è il suo quadretto iniziale con descrizione della folla nell’aeroporto di Port Moresby, che esibisce un rapporto recente ma del tutto disinvolto con la scrittura:
 
Nell’arco di un paio di generazioni, e della vita di molti dei presenti in quell’aeroporto, gli abitanti degli altipiani avevano imparato a scrivere, a usare il computer e ad andare in aereo. Forse alcuni di essi erano stati addirittura i primi della tribù ad alfabetizzarsi (p. 4)… Se a raccontarci com’è andata a finire non vi fosse la storia recente, forse saremmo qui a domandarci se è davvero possibile che una popolazione completamente digiuna di scrittura possa impadronirsene nell’arco di una sola generazione (p. 6).
 
Del resto, perché una società dovrebbe richiedere più di una generazione per far rientrare la scrittura (o una qualunque altra novità tecnologica) nelle proprie abitudini? Quanto tempo hanno impiegato le automobili o i cellulari per integrarsi nella cultura italiana? I singoli individui hanno i propri tempi e periodi di apprendimento, ma, appunto, nell’arco di una generazione viene assimilato tutto quel che c’era da assimilare.
 
Anche a prescindere dalle esperienze in Nuova Guinea, comunque, Diamond è ancora capace di sintetizzare con rara abilità dati disparati, da non-specialista che ha studiato le cose giuste e spesso riesce a dirle meglio degli specialisti. Per esempio, il capitolo decimo, di cui parlerò in dettaglio più avanti, è dedicato al plurilinguismo e condensa in due pagine (377-378, con qualche piccola svista) una delle migliori descrizioni del rapporto tra italiano e lingue romanze, e italiano e dialetti, che mi sia capitato di leggere di recente… anche se la mancanza di una bibliografia classica non mi permette di capire da dove siano state riprese le informazioni.
 
Il problema del libro è un altro: è che, appunto, lo spunto di discussione iniziale si ramifica in una serie di confronti a livello di capitolo, su argomenti ben poco collegati tra di loro. Tipo: come si gestiscono i conflitti nelle diverse società? Come si allevano i bambini? Come si trattano gli anziani? Come si gestiscono i pericoli? Come ci si prende cura della salute? Eccetera. E, ovviamente, su molti di questi punti le società tradizionali non possono fornire esempi a noi utili. Per esempio, abbandonare alla fame o agli animali della foresta gli anziani o i malati risolve in molti casi i problemi di gestione, ma la pratica, per quanto diffusa nelle società tradizionali, forse non va incoraggiata in quelle postindustriali…
 
Diamond alla fine qualche suggerimento lo ricava comunque: gestire i conflitti personali in modo meno burocratizzato, dare più indipendenza ai bambini, prestare maggiore attenzione alle lingue straniere. Inutile dire che i suggerimenti sono rivolti al pubblico americano, e che in due di questi casi, per esempio, la società italiana sembra molto più vicina di quella americana al modello tradizionale… senza che questo, temo, la renda migliore (la gestione dei bambini, d’altro canto, in Italia è oggi follia pura e sospetto che di questo stato di cose pagheremo a lungo le conseguenze nei prossimi decenni).
 
E il capitolo sulle lingue? Innanzitutto Diamond presenta in modo molto articolato e intelligente la situazione linguistica dell’Occidente e delle società tradizionali. Poi prende in esame due argomenti all’apparenza molto diversi: le conseguenze individuali della conoscenza di più lingue e la diffusione delle lingue minoritarie.
 
Per il primo argomento, il bilinguismo e il plurilinguismo sono molto diffusi in alcune società tradizionali, più di quanto non accada negli Stati Uniti. Diamond fa poi una sintesi di diversi studi recenti, che “non hanno dimostrato differenze cognitive generalizzate fra soggetti bilingui e monolingui” (p. 391), mentre i bilingui hanno ovviamente – come minimo – il vantaggio di conoscere più lingue. Qualche leggera differenza nello svolgimento di compiti d’altronde si manifesta, e alcuni studi mostrano, addirittura, che i bilingui sono più protetti dei monolingui nei confronti di malattie come l’Alzheimer.
 
Anche per la diffusione delle “lingue minoritarie” Diamond fa ricostruzioni su cui oggi c’è ampio accordo. Per esempio, considera a rischio tutte le lingue che non sono state adottate da uno stato-nazione: 192, o 70, a seconda del modo di calcolarle (p. 404). E poi pone una domanda: ha senso cercare di salvare le lingue minoritarie? Qui i due filoni accennati sopra si saldano, perché Diamond parte ricordando che, per quel che ne sappiamo, il bilinguismo non è un ostacolo allo sviluppo mentale, ma semmai un aiuto. Non è quindi necessario che tutta l’umanità parli la stessa lingua, perché l’esistenza di una lingua franca internazionale risolve i problemi di comunicazione senza produrre inconvenienti e, se è vero che le lingue possono anche essere un fattore di divisione, in realtà molte delle peggiori tragedie della storia recente si sono consumate all’interno di comunità che parlavano la stessa lingua.
 
Sì, ma perché fare un’azione positiva per salvare le lingue minoritarie? Diamond fornisce in proposito una serie di ragioni di varia solidità. Intanto, ripete l’argomentazione sull’aiuto del bilinguismo per lo sviluppo mentale e va bene. Poi si allarga parlando del bilinguismo come di un vero e proprio arricchimento della vita; e alla fine incomincia a esagerare (“Lingue diverse comportano poi vantaggi diversi, per esempio il fatto che certi concetti ed emozioni sono più facili da esprimere in una lingua che in un’altra”, p. 408), arrivando a tirar fuori perfino relitti come l’ipotesi Sapir-Whorf… Ritorna alla ragionevolezza spiegando che, poiché in una lingua “sono codificate una letteratura e una cultura, nonché un’enorme conoscenza”, perdere una lingua significa “perdere gran parte di quella letteratura, cultura e conoscenza”. Non solo una letteratura in traduzione è meno apprezzabile, ma esistono montagne di informazioni che non saranno mai “tradotte” usando metodi tradizionali – giusto per fare un esempio che mi ha toccato da vicino negli ultimi mesi, tutta la bibliografia di base sulla storia della stampa in Cina è in cinese, e rimarrebbe quindi inaccessibile nel caso (improbabile) di una perdita della lingua. Seguono considerazioni un po’ meno sensate, anzi, proprio strampalate, sul ruolo identitario delle lingue. Per esempio, Diamond si domanda se la Gran Bretagna si sarebbe opposta con vigore al nazismo nel 1940 se in tutta Europa l’unica lingua fosse stata il tedesco… Ehm… Che senso ha chiedersi una cosa del genere? O, meglio ancora, perché non capovolgere l’esempio e chiedersi se il nazismo avrebbe potuto anche solo esistere, se nel 1940 l’Europa fosse stata un continente in cui l’unica lingua fosse stata l’inglese?
 
Mi colpisce poi che in questa rassegna di argomenti a favore della conservazione delle lingue ne manchi uno specialistico, ma importante per i linguisti: la possibilità che alcune delle lingue oggi minacciate permettano di capire meglio la natura del linguaggio, visto che le lingue più diffuse rappresentano solo una piccola sezione della varietà linguistica umana. Ho già parlato per esempio di come Daniel Everett ritenga che il pirahã, lingua amazzonica usata da poco più di quattrocento individui, permetta di smentire alcune ipotesi oggi correnti sul linguaggio umano (che sia vero o no, è un altro discorso). Diamond peraltro conosce i lavori di Everett, e lo cita ripetutamente per altre questioni, ma lascia del tutto da parte le sue idee linguistiche.
 
Insomma, secondo me questo capitolo riproduce in piccolo i pregi e i difetti del libro: si affrontano troppi argomenti, e su alcuni di essi chiaramente l’autore non ha riflettuto a sufficienza.
 

sabato 5 ottobre 2013

Crimi, Facebook, Twitter e gli uffici stampa

 
 
Raccontavo giusto lunedì delle mie diffidenze nei confronti della paternità di molti tweet di politici italiani. Chiaramente, in alcuni casi è il politico stesso a scriverli. In altri è il suo “ufficio stampa” (definizione puramente di comodo, che può corrispondere a un vero e proprio ufficio o a collaboratori che si occupano in modo molto più informale della comunicazione sulle reti sociali).
 
Ieri mattina la questione della paternità di messaggi simili è però arrivata all’attenzione del pubblico nazionale, visto che il dibattito politico è stato agitato dalle discussioni attorno al voto della Giunta per le elezioni del Senato che ha votato per la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi (PDL). Il voto in sé naturalmente è quello che ha il maggior impatto politico, ma alcuni degli strascichi polemici riguardano direttamente la gestione delle reti sociali. Sulla pagina Facebook di uno dei componenti della Giunta, il senatore Vito Crimi (M5S), durante la fase di udienza pubblica dei lavori della Commissione è apparso infatti un aggiornamento che commentava in modo squallido sull’età e sulle condizioni intestinali del senatore Berlusconi; poi, durante i lavori della Commissione, sono apparsi altri aggiornamenti su argomenti non collegati.
 
A quanto hanno riportato i giornali, gli aggiornamenti sulla pagina di Crimi ha spinto il capogruppo PDL in Senato, Renato Schifani, a chiedere l’interruzione dei lavori della Giunta, in quanto il primo aggiornamento esprimeva un pregiudizio e i successivi erano comunicazioni inviate in un momento in cui Crimi avrebbe dovuto essere privo di contatti con l’esterno. L’interruzione però non c’è stata, e gli aggiornamenti della pagina di Crimi non hanno quindi esercitato un’influenza rilevante sui lavori, anche se hanno avuto un certo impatto politico. Dal punto di vista che mi interessa, tuttavia, ciò che è successo in questa occasione ha messo bene in luce il modo in cui oggi diversi politici italiani comunicano attraverso le reti sociali. Non si tratta direttamente di Twitter, perché gli aggiornamenti sono stati pubblicati in originale su Facebook e solo richiamati dall’account Twitter di Vito Crimi (@vitocrimi), ma molte osservazioni saranno sicuramente valide per entrambi i canali.
 
Qualche ora dopo l’inizio dei lavori della Commissione, sulla pagina di Crimi è comparso un altro aggiornamento che, in linguaggio molto burocratico, comunicava:
 
Buongiorno a tutti voi, amici.
 
Chi scrive ora, come già accaduto in altre occasioni, è il collaboratore di Vito Crimi, che aggiorna la sua pagina quando Vito non è in condizione di poterlo fare (come è di norma per tantissimi altri collaboratori parlamentari).
 
Alcune precisazioni:
 
a) il post relativo a Berlusconi è stato inserito alle ore 10.04, prima dell'inizio dei lavori in Camera di Consiglio.
b) i post successivi, già programmati (relativi a Lampedusa ed al resoconto "5 giorni a 5 stelle") sono stati inseriti dal sottoscritto.
 
In fede,
Adriano Nitto
Collaboratore parlamentare di Vito Crimi
 
L’autore del messaggio non lo dice quindi in modo esplicito, ma lascia pensare che “il post relativo a Berlusconi” sia stato inserito di persona dal senatore Crimi. Non è naturalmente detto che sia così, ma la cosa è verosimile. Vale la pena però notare che il comunicato non dice nulla su chi ha effettivamente scritto i testi di cui si parla – si limita a dire, per due di essi, chi li ha “inseriti”.
 
Che cosa mostra l’aggiornamento, dal punto di vista operativo? La situazione reale, credo, di “tantissimi” account Facebook e Twitter dei politici. In cui i testi scritti da un politico vengono integrati da un ufficio stampa. Questa integrazione andrà poi da un minimo a un massimo. Ci saranno account in cui il politico non scrive mai nulla (quello di Angelino Alfano, per esempio, mi sembra un buon candidato), e altri in cui scrive tutto in prima persona; più tutta la gamma intermedia, comprendente per esempio situazioni in cui il politico scrive qualcosa e lascia agli altri il compito di pubblicarla al momento giusto.
 
Mi sembra molto difficile fornire stime sulla diffusione di questo fenomeno. Se mi si chiedesse una stima a occhio, basata sugli account che ho visto… forse il 50% dei politici dotati di account non scrive mai nulla, il 40% lo fa occasionalmente (tipo, da un paio di volte l’anno in su), e il 10% lo fa in modo prevalente. Ma, appunto, è una stima del tutto a occhio.
 
Ciò che invece sospetto è che questi comportamenti corrispondano a una spaccatura comunicativa e linguistica. Che cioè i messaggi “broadcast”, che non rientrano in una discussione, siano in larga maggioranza opera degli uffici stampa – a me non che non presentino commenti fortemente personali. I messaggi che rientrano in una discussione, viceversa, sembrano in buona parte (ma non la totalità, e forse nemmeno la maggioranza) opera dei politici stessi. Dal punto di vista linguistico, come ho già anticipato, le differenze tra i due tipi mi sembrano molto significative… La spaccatura sarebbe insomma paragonabile a quella tra “post” e “commenti” già descritta, da altri e da me, per i blog. Comunque, ho il forte sospetto che sia la seconda categoria quella che può dirci le cose più interessanti sull’italiano di oggi.
 
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