mercoledì 24 ottobre 2012

In treno ai Tropici

 
Terminate le presentazioni all’IIC, prima di riprendere l’aereo sono riuscito a fare anche una rapida visita di due giorni a Yogyakarta, nella zona centrale di Giava. Ovviamente, ci sono andato in treno! Ma otto ore di viaggio non sembrano certo una difficoltà, dopo averne passate circa 240 sulla linea Pisa – Hong Kong.
 
 
Il viaggio di andata (biglietto: € 9 circa, in classe “Bisnis” sul Fajar Utama Yogya) è stato una delle migliori esperienze ferroviarie della mia vita. Giava si è rivelata un’isola coperta di un verde brillante: banani, risaie, foreste... Soprattutto la sezione centrale del percorso, in cui il treno taglia il cuore dell’isola per passare dalla costa settentrionale a quella meridionale, è indicibilmente pittoresca. In sostanza, si serpeggia alle pendici dei vulcani della zona (poco visibili per via delle nuvole) e si attraversano campi e villaggi. Ogni stazioncina ha il suo capostazione che, in camicia bianca, cravatta nera e berretto rosso, sta fermo sull’attenti e controlla il passaggio del treno. Poche linee ferroviarie al mondo sono più pittoresche di questa!


Soprattutto, sul treno ho fatto la conoscenza con il mio vicino di posto, Anto Juniar, che si è rivelato gentilissimo e simpaticissimo. Anto si interessa anche di iniziative culturali, concerti e simili: può darsi che in futuro venga fuori qualche progetto interessante. Nel frattempo, ci siamo scambiati i rispettivi indirizzi su Twitter, abbiamo dato un’occhiata a questo blog dal suo tablet e, soprattutto, abbiamo fatto delle lunghissime e interessanti conversazioni. Se leggi anche questo post: ciao, Anto!


Anche il treno era di quelli che piacciono a me. Niente alta velocità, niente aria condizionata: finestrini aperti e soste frequenti. In altri climi sarebbe una tortura, ma lì anche i 30-35 gradi si sono rivelati sopportabilissimi. Il treno era dotato di una carrozza ristorante, ma non ci sono nemmeno mai andato: il sistema standard giavanese consiste nel far passare attendenti che prendono le ordinazioni e poi le consegnano direttamente al sedile (ho preso in questo modo il tè e il caffè migliori del viaggio). In aggiunta, poi, a ogni stazione sale sul treno una vera e propria folla di venditori – praticamente un mercato di paese, a un livello che non ho mai visto nemmeno in India.
 
Alla stazione di Purwokerto, su consiglio di Anto, ho ordinato un pecel a una delle venditrici. Verdure miste servite su una foglia di banano e generosamente coperte di burro di arachidi: probabilmente la cosa migliore che abbia mai mangiato in tutto il viaggio. A quel che sembra, è anche un piatto che deve essere preparato sul posto!

La preparazione del pecel

Anche la gente e i paesi di Giava fanno una splendida impressione. Una delle poche cose in controtendenza sono i gruppi di bambini a giro attorno ai binari quando dovrebbero essere a scuola; ma i gruppi sembrano piuttosto ridotti rispetto alle masse di ragazzi e ragazze in divisa scolastica che si vedono attraversare campi e strade a fine mattinata. Nei campi si vedono pochi attrezzi a motore, e alcuni villaggi sembrano piuttosto poveri, ma rispetto alle sterminate baraccopoli indiane questo è davvero un altro mondo.


Il ritorno, il giorno dopo, è stato meno soddisfacente: ho dovuto prendere il pretenzioso treno notturno Argo Dwipangga. E le ferrovie giavanesi purtroppo non dispongono di vagoni letto: solo di seggiolini reclinabili.


Per giunta, come temevo, sui treni di alto profilo l’aria condizionata viene tenuta a palla, a livello di congelamento. Quindi ho passato tutta la notte a rabbrividire e rigirarmi su un sedile reclinabile, cercando pateticamente di coprirmi non solo con la copertina leggera in dotazione, ma anche con tutto quello che avevo in valigia (come dice un proverbio cinese ripreso anche nel cap. 4 dei Briganti: “il freddo non si cura della moda”). Sicuramente si è trattato di uno spettacolo di cui personale e passeggeri del treno si ricorderanno a lungo... ma tant’è: alle 4.45 l’Argo Dwipangga, puntualissimo, arriva alla stazione di Jakarta Gambir e io, intontito ma riscaldato, mi reimmergo nell’aria tropicale e mi accomodo sul primo autobus per l’aeroporto.
 

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