martedì 31 luglio 2012

Zaga, Twitter


Ho ricevuto di recente un articolo di Cristina Zaga, appena pubblicato sulla rivista Italiano LinguaDue (4, 1, 2012, pp. 165-210): Twitter: un’analisi dell’italiano nel micro-blogging. L’articolo è una delle prime analisi sul modo in cui viene usato l’italiano nei messaggi di Twitter e si basa sull’esame dei tweet prodotti da cento utenti “con profilo pubblico”: in tutto, sono presi in esame 2.150 tweet, formati da 19.780 parole (p. 203).
 
Il lavoro è interessante e mostra per esempio alcune caratteristiche generali di questo modo di comunicare. Per esempio, nel corpus in pratica manca il leetspeak e mancano le scritture endofasiche, a parte x per per. Le abbreviazioni non sono troppo frequenti, ma sono usate da tutti gli utenti – e questo riguarda, aggiungo io, sia abbreviazioni “convenzionali” della vecchia corrispondenza commerciale, come gg per giorni, sia abbreviazioni come cmq per comunque. Sono poi particolarmente interessanti queste conclusioni:
 
all’interno del corpus le emoticon sono utilizzate da tutte le tipologie di utenti non risultano essere esclusivo appannaggio, come si potrebbe pensare a priori, del linguaggio giovanile né di quei profili che non svolgono un’attività professionale nel campo della comunicazione. Solo le testate giornalistiche sembrano non essere toccate dal fenomeno e questo probabilmente si lega alla funzione che viene attribuita principalmente all’emoticon: l’espressività di un’emozione o la sostituzione della mimica facciale (p. 186).
 
E queste, su cui concordo meno:
 
Può essere interessante evidenziare che le formule di inizio e fine siano utilizzate anche da profili ufficiali di istituzioni e aziende (…) ma manchino completamente nel flusso di tweet relativo a testate giornalistiche. Questa osservazione, sembra suggerirci che, forse, i profili di università, comuni, province, marchi, negozi abbiano maggiore interesse ad attivare una conversazione con i propri “seguaci”, i quali probabilmente saranno studenti, cittadini, clienti o potenziali tali, che usufruiscono di servizi e possono necessitare assistenza su TW. I profili di testate giornalistiche invece, sembrano avere come fine ultimo il broadcasting delle proprie notizie su TW e un quasi nullo interesse ad interagire con i propri follower (p. 191).
 
Comunque l’articolo accenna anche a problemi di densità informativa e di formazione di convenzioni “sintattiche” nell’uso degli hashtag e della chiocciola. L’argomento è interessante, e anch’io l’ho toccato nell’Italiano del web, anche in rapporto ad alcune analisi fatte dai miei studenti. Sarebbe interessante, su questi temi, vedere altri approfondimenti!

 
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