sabato 16 aprile 2011

Mastrocola, Togliamo il disturbo


Ogni tanto, quando la massa del lavoro arretrato mette sgomento, per ritrovare un po' di carica vado in cerca di un libro sbagliato. Il tipo di libro, insomma, di cui so in anticipo che dopo tre pagine mi verrà voglia di gettarlo contro il muro.

Funziona? Direi di sì. Dopo tre pagine di Togliamo il disturbo (Paola Mastrocola, Milano, Guanda, 2011) mi sono messo a sbuffare, e poi ho riattaccato il lavoro con nuova energia, per sfogare la rabbia. Poi altre tre pagine, e una nuova dose. E poi altre tre ancora...

Che cos'è, comunque, Togliamo il disturbo? Secondo il sottotitolo, è un Saggio sulla libertà di non studiare. Il sottotitolo, però, inganna. La "libertà di non studiare" occupa una piccola parte del testo; il quale, soprattutto, non è un "saggio", cioè, secondo la definizione del vocabolario di De Mauro, un'"opera breve e sintetica in prosa, condotta in modo oggettivo e razionale, su un argomento scientifico, filosofico, politico, letterario o di costume". Non lo è perché non è un testo condotto in modo oggettivo e razionale. È una tirata retorica ben poco collegata ai fatti.

I motivi per cui parlar male di questo libro sono tanti. Certo, come spesso accade, all'interno di un'impostazione del tutto sbagliata il libro dice anche cose giuste (per esempio, ribadendo l'importanza della "parola" contro l'idea, piuttosto diffusa oggi, che la cultura punti inequivocabilmente nella direzione delle "immagini"). Però ciò non toglie che nelle parti restanti ci sia l'imbarazzo della scelta.

Qual è il punto chiave? Non è tanto chiaro. L'autrice rende chiaro il suo desiderio: insegnare la propria materia ("italiano" alle scuole superiori) con competenza (cosa lodevole) e senza troppo curarsi degli effetti sugli studenti. Le sembra inoltre che questo sia nuovo e rivoluzionario... ma in effetti, a ben vedere, è ciò che ancora oggi fa, con esiti spesso non esaltanti, in molte università italiane. Non c'è quindi gran che di nuovo, in questo modo di lavorare - se non il fatto che l'autrice propone di estenderlo a ogni ordine di scuola, a partire dalle elementari (senza apparentemente realizzare il fatto che si tratta di una diffusione di un sistema già usato altrove: di università, in questo libro, non si parla praticamente mai, il che è un filino sorprendente).

Sull'efficacia complessiva di questo approccio mi sento di esprimere, per usare un garbato eufemismo, qualche dubbio.

Comunque, il libro, com'è ovvio, parla molto di lingua italiana. E in particolare ribadisce un concetto: che gli studenti dell'autrice non conoscono la lingua. Ohibò. Da altre fonti non risulta, anzi, risulta che quasi tutti gli italiani, oggi, a quindici anni, sono in grado di parlare e scrivere italiano. Eppure si dice esattamente questo: che "i ragazzi non sanno più l'italiano" (p. 17).

In base a quale documentazione? L'autrice dice subito (p. 13) che nella sua scuola, un liceo scientifico, a un test di ingresso basato su "dettato ortografico, esercizi di punteggiatura, analisi grammaticale e analisi logica", "negli ultimi cinque o sei anni" nessuno dei suoi studenti ottiene una sufficienza. E che, anche in seguito, gli studenti non recuperano le lacune.

Sarà vero? Tutto dipende da molti fattori: dalla scuola di provenienza degli studenti, dagli studi compiuti negli ultimi anni e soprattutto, com'è ovvio, dalla composizione dei test e dai criteri per assegnare o meno la sufficienza. Poiché da anni mi occupo dei test d'ingresso della Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa, e nei risultati non ho mai rilevato nulla di così grave, sarei molto curioso di sapere qualcosa si più. Ciò che posso dire io è che alcune scuole italiane non insegnano analisi grammaticale o analisi logica, contrariamente ai programmi, ma che, giusto per fare un esempio, studenti di variegata provenienza, a domande come:

Individua la frase che contiene un pronome personale:

A. Il dubbio mi era già venuto
B. Tutti e tre vogliono ripartire domani con il treno
C. Tuo zio ha chiamato due volte
D. Paolo arriva sempre in ritardo
E. Nessun dubbio!


... rispondono, correttamente, A nel 64% dei casi. A una domanda di analisi logica come:

Individua la frase che contiene un complemento di specificazione:

A. Hanno preso ancora del pane
B. Il libro grosso è di Paolo, ma gli altri non li riconosco
C. Tornerà per parlare di questa faccenda
D. Penso di arrivare in ritardo
E. Ha già detto che il suo motorino non lo presta a nessuno


... la risposta corretta (B) è data dal 52%; il 31% risponde "C", il che fa pensare che anche questo gruppo abbia ben presente, anche se a un insufficiente livello di correttezza, il concetto di "complemento di specificazione". Quali sarebbero le percentuali di risposte esatte tra, che so, i cinquantenni italiani? Parecchio più basse, direi a occhio.

Certo, chi si iscrive a Lettere e Filosofia è presumibilmente già orientato verso le materie letterarie - però lo stesso vale per gli studenti del Liceo Scientifico, e non è che in teoria alle superiori si recuperi tanta grammatica italiana. Né le matricole di Lettere e Filosofia provengono solo dai licei (anzi).

Ma, soprattutto, nelle verifiche di comprensione del testo questi studenti ottengono risultati ampiamente positivi anche nella decifrazione di pagine piuttosto complesse: per esempio quelle in cui Croce spiega somiglianze e differenze tra "concetto" e "intuizione". E c'è una differenza non da poco tra "conoscere la grammatica" e "conoscere una lingua" - anche se, in diversi punti, questo fatto sfuggire all'autrice.

Dopodiché, a molti studenti del I anno di Informatica umanistica io faccio scrivere voci di enciclopedia, e in generale i risultati sono ampiamente positivi. Ho fatto per anni lo stesso lavoro con gli studenti di Informatica tout court, ben lontani da velleità letterarie, e i risultati non erano troppo diversi: gli studenti sapevano articolare in modo soddisfacente, per iscritto, contenuti piuttosto complessi. Quelli con gravi insufficienze sono finora, nella mia esperienza, circa il 5% del totale.

Certo, si potrebbe (e dovrebbe) fare di meglio. Ma la situazione dell'educazione italiana non è affatto quella descritta in modo così approssimativo da questo libro. È una situazione complessa, non priva di zone buie, ma in sostanza di poco peggiore rispetto a quella dei paesi europei più immediatamente confrontabili.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Da studentessa universitaria, (ed ex studentessa in un liceo scientifico) posso affermare che non ci viene data nessuna indicazione formale su come scrivere correttamente sulla carta, sul computer o su altro. Ne alcuna indicazione sul modo di farlo: spazi, virgolette, a capo, o comunque non ci viene spiegata la necessità; semplicemente si impara sbagliando durante i compiti in classe.

I dialetti regionali hanno il loro peso. Senza dubbio quelli centromeridionali e meridionali, sopratutto perché sono quelli più marcati e possono stravolgere maggiormente sia una singola parola che l'intera costruzione della frase. Nel dialetto si usano ridondanze continue per affermare qualcosa che in italiano (in quello corretto!) si può esprimere in modo più sintetico. Essendomi spostata al nord, ho notato che anche qui i dialetti hanno il loro peso. Mi spiego meglio: mentre nel meridione il dialetto ha una struttura ben definita, assolutamente lontana dalla struttura dell'italiano standard, al nord alcune strutture dialettali entrano, quasi di diritto, nell'uso dell'italiano. I liguri nella causale il "perché" lo dicono alla fine: Come mai non sei partita? Ho avuto la febbre "perché". Ovviamente questo riguarda l'italiano parlato, ma credo che abbia comunque una sua influenza anche sul modo di esprimersi sulla carta, perché fa parte di noi, e del modo in cui ci rapportiamo con gli agli nella maggior parte del tempo. Ad esempio, per quanto mi riguarda, la lettura mi è stata d'aiuto.

All'università, sopratutto dopo la correzione di miei elaborati, ho capito che la grammatica è molto più complessa della lingua che pensiamo di conoscere, bisogna stare attenti e analizzare ogni aspetto.
Eppure questo mi pare un argomento davvero vasto da trattare...
Spero di aver c'entrato con il mio commento.
N.

Madame Psychosis aka khachacha ha detto...

Avevo letto qualche mese fa questo articolo http://www.carmillaonline.com/archives/2011/02/003792.html ed oggi letto la tua recensione. Mi pare proprio che la Mastrocola l'abbia fatta fuori dal vaso...

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