martedì 1 marzo 2011

L'inglese alla finestra


Il mio rientro in Italia si sta avvicinando: è una buona occasione per ripensare a diverse cose e, nel piccolo, anche all'esperienza linguistica indiana.

Uno dei punti più interessanti è anche il più ovvio. Nell'India del nordovest, tra università e turismo, nella vita quotidiana è possibile cavarsela senza nessun problema usando l'inglese. La conoscenza dell'inglese non è assolutamente universale, ma tutte le persone istruite lo conoscono e quasi tutti sanno le due o tre parole necessarie per la maggior parte degli scambi.

Quanto è diffuso? A livello di lingua scritta, quasi tutto ti viene presentato anche in inglese: in un mese e mezzo la mia conoscenza del devanagari si è rivelata indispensabile solo in un paio di occasioni, per decifrare qualche scritta importante. Inoltre, io sto in zona universitaria e, se guardo alla finestra, oltre il filo spinato della residenza, oltre il traffico di Banda Bahadur (B. B.) Marg (nella foto aerea si vede bene, sul lato ovest di B. B. Marg, il tetto della fermata del bus che fa capolino da destra nella foto qui sopra), tutti i negozi visibili espongono solo insegne in inglese e in alfabeto latino. A Delhi è una situazione eccezionale, e Delhi è uno dei centri in cui l'inglese è più diffuso... però anche questo fa parte dell'India.

Pochi giorni fa, del resto, il mio amato New York Times pubblicava un articolo di Manu Joseph intitolato India Faces a Linguistic Truth: English Spoken Here. Nell'articolo, esagerando un po', si dice che "English is the de facto national language of India"; non è proprio così, ma sicuramente nella competizione per la lingua più amata, l'inglese ha molti vantaggi, per esempio, nei confronti dell'hindi. A me è capitato, per esempio, di ricevere come consiglio quello di provare a parlare inglese, piuttosto che hindi, anche per le cose più semplici, incluso prendere auto e ciclorisciò. Il motivo: molti conducenti, e molti lavoratori di Delhi, sono immigrati, e non hanno molta simpatia per l'hindi. Delhi è una città che si è riempita di gente proveniente dal Bengala o dal Punjab, e spesso gli immigrati non comprendono o non parlano volentieri l'hindi. Molte scritte sui mezzi pubblici sono in quattro lingue e quattro alfabeti diversi: hindi (in devanagari), inglese (in alfabeto latino), urdu (in alfabeto arabo) e punjabi (in alfabeto punjabi).

In questo contesto, l'inglese non è la lingua degli ex dominatori: è semplicemente una comoda lingua che mette in grado molti di comunicare sullo stesso piano, senza sentimenti di inferiorità. Presentato così, il quadro forse è troppo roseo. Però resta il fatto che, venendo dall'Italia e da tutte le menate sulla "difesa dell'italiano", eccetera, colpisce il modo pragmatico in cui gli indiani adottano l'inglese. Per quanto mi piaccia l'italiano, insomma, mi trovo molto a mio agio con l'idea di una lingua internazionale di riferimento, che tutti possono usare. Qualcuno la sa meglio degli altri, perché è la sua lingua madre? Beh, pazienza: non sarà certo quello a fare la differenza.

Per quel che vedo, quindi, tra gli indiani non c'è nessun sentimento di inferiorità (come invece si ritrova, a volte, tra i cinesi), né l'idea di essere in qualche modo sminuiti dall'uso dell'inglese. L'India ha un sacco di problemi, che gli indiani non si nascondono, ma non mi è mai capitato di trovare qualcuno che dicesse: "tutta colpa dei colonizzatori / della globalizzazione / delle multinazionali", e via dicendo. Anzi, in un lungo viaggio in treno a Jaisalmer, mi è capitato anche di sentirmi fare prediche sull'autonomia da un simpatico ufficiale ("Wing commander") dell'Aeronautica: "Ah, avete anche voi gli americani in casa? Come in Giappone? Non dev'essere tanto bello, trovarsi qualcun altro a comandare!"

Io ho cercato di spiegargli che le cose non stanno proprio così, ma non so se l'ho convinto fino in fondo. E comunque, com'è ovvio, tutta la conversazione si è svolta in inglese...

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