giovedì 24 settembre 2009

Everett, Don't sleep, there are snakes

Daniel Everett, missionario evangelico americano, alla fine degli anni Settanta partì con la famiglia per l'Amazzonia con l'obiettivo di convertire i pirahã: un popolo di meno di quattrocento persone, tutte insediate attorno al fiume Maicí. L'obiettivo doveva essere raggiunto partendo, secondo una consolidata tradizione, dallo studio del linguaggio. Questo avrebbe permesso a Everett di tradurre la Bibbia in pirahã, e da lì sarebbe venuto fuori il resto.

Le cose però sono andate in modo diverso da quello previsto, al punto che, come racconta l'interessato in questo libro, a contatto con i pirahã è stato Everett a "convertirsi" e a diventare ateo. Processo messo in moto da vari fattori. Non ultimo, quello linguistico-culturale: i pirahã, secondo Everett, si interessano, del tutto ragionevolmente, solo al qui-e-adesso, o tutt'al più a ciò che ha testimoni viventi. Bibbia e vangeli sono quindi per loro, per definizione, irrilevanti.

L'aspetto più interessante della cosa è che Everett mette in collegamento la cultura e la lingua: rispettando un principio di aderenza ai fatti, i pirahã parlano solo per asserzioni, e quindi per esempio non possono servirsi di subordinate relative. Né la loro lingua contiene ricorsività, almeno a livello sintattico.

Sarà vero? Personalmente, nutro molti dubbi. Everett è una delle pochissime persone al mondo (pirahã inclusi) capaci di parlare il pirahã, quindi è difficile smentirlo sui dati di fatto! Però diversi punti delle sue considerazioni mi sembrano poco solidi. Certo, Don't sleep, there are snakes è un libro divulgativo: più autobiografia che studio scientifico (al punto da non avere nemmeno bibliografie finali). Tuttavia qualcosa non torna. Perché la ricorsività e le frasi relative dovrebbero, di per sé, essere impossibili in una lingua che culturalmente si limita solo ad asserzioni?

Everett dice, prendendo come esempio la frase "The man who is tall is on the path", che "The embedded sentence merely adds some old information shared by the hearer and the speaker", e che "embedded sentences rarely, if ever, are used to make assertions" (p. 234). In che senso? "Ho incontrato un uomo che mi ha chiesto la strada" non va bene da questo punto di vista?

lunedì 21 settembre 2009

Libri sotto vetro

C'è chi ama i libri in perfette condizioni: come se non fossero mai stati aperti.

Non è il mio caso.

A me i libri piacciono in quanto strumenti: oggetti per conservare informazioni. Che siano in perfette condizioni è secondario. Anzi, se possibile, preferisco comprare libri usati piuttosto che nuovi. Certo, se vengono da una biblioteca non va bene scriverci sopra; e anche se i libri sono di proprietà personale, è bene non maltrattarli, perché dopo un po' cadono a pezzi. Ed è bene non riempirli troppo di scritte, perché poi non ci si capisce niente (o non si possono fotocopiare per le lezioni). Eccetera.

Questione di gusti, certo.

Però a volte capita qualcosa di curioso. Stamattina mi sono informato sulla possibilità di comprare qualche libro con i miei fondi di ricerca (cioè i soldi disponibili per portare avanti i lavori individuali: nel caso mio, poco più di mille euro, per il 2009). La risposta: sì, si possono comprare libri con quei fondi, ma i libri devono essere acquistati tramite la biblioteca di dipartimento e devono essere conservati in biblioteca. E quindi non possono essere usati per prendere appunti, evidenziare, eccetera. Cosa che, in effetti, volevo fare con un'edizione della Grammatica di Renzi - di cui in biblioteca sono già presenti un paio di copie, che però, giustamente, vanno conservate al meglio. Nulla da fare. Se voglio un libro da usare in questo modo, devo pagarmelo di tasca mia.

Cosa quantomeno curiosa. Se compro un computer con i miei fondi di ricerca, non devo depositarlo in nessuna biblioteca. In pratica, posso usarlo, strapazzarlo, metterci sopra i programmi che mi sembrano più utili, perfino smontarlo o usarlo come fermaporta, se mi torna utile per il lavoro. Com'è giusto che sia.

I libri no. Devono rimanere immacolati.

Regolamento di Ateneo, mi hanno detto. Probabilmente nato da qualche idea molto generica, tipo "così aumentiamo la dotazione delle biblioteche". E forse anche da un concetto di livello più alto, ma sbagliato: "i libri non sono strumenti come tutti gli altri". Sono cose da riverire, e tenere sotto una campana di vetro? Per evitare che vengano usati?

Bah. Questo regolamento non è certo l'ostacolo peggiore che ci si trova di fronte su lavoro. Ma è un ostacolo talmente irragionevole che dà un po' da pensare.

venerdì 18 settembre 2009

Altri esami

Al momento siamo a quota 85 per il 2009. Non tanti, ma comincia a essere un numero ragionevole.

Uno dei vantaggi del sistema Unipos rispetto ai vecchi statini è la possibilità di vedere gli esami e i relativi voti sotto forma di foglio Excel, pronti per l'elaborazione. Qualcosa si può addirittura vedere sotto forma di grafico già usando il sistema on line, come in questo caso...

In prima battuta, mi sembra interessante un fatto: il grafico dei voti mostra un concentramento sulle fasce alte - a cui hanno contribuito, per esempio, i numerosi studenti della specialistica che hanno sostenuto la prova del Laboratorio di Italiano scritto professionale (ZZ699). Sarebbe interessante confrontare la situazione con la media degli esami della Facoltà di Lettere!
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