giovedì 2 aprile 2009

Quanta grammatica è necessaria?

Finalmente è stata pubblicata una raccolta di studi che aspettavo da qualche mese: Language complexity as an evolving variable, a cuira di Geoffrey Sampson, David Gil e Peter Trudgill. La raccolta mette in discussione da molti punti di vista un assioma della linguistica contemporanea (nella linea di Chomsky, almeno): tutte le lingue sono ugualmente complicate.

E invece, probabilmente, no...

Del grosso del volume parlerò in un prossimo post. Per ora mi limito a citare uno dei testi contenuti, How much grammar does it take to sail a boat? L'autore, David Gil, si risponde da solo: non molta.

Per rispondere, prende innanzitutto a modello una lingua che abbia parole prive di struttura morfologica, che non contenga categorie sintattiche tipo "nome" e "verbo", e che non abbia regole specifiche per la costruzione delle associazioni semantiche. Una lingua di questo genere viene definita IMA (isolating - monocategorical - associational) e in pratica si basa solo sull'accostamento di parole, producendo significato in base al contesto e facendo a meno di molti strumenti che noi prendiamo per scontati, dalla variazione morfologica alle regole sulla posizione di soggetto e oggetto.

Una lingua puramente IMA, dice Gil, non esiste; però secondo lui l'indonesiano della provincia di Riau si avvicina molto a questo ideale. Le frasi riau possono essere del tipo ayam makan, "pollo mangiare", per indicare cose molto diverse come 'il pollo mangia', 'il pollo è stato mangiato' e così via. In aggiunta a questa non-struttura, Gil aggiunge che il riau viene usato per comunicare a tutti i livelli: dall'insegnamento universitario alle conversazioni dei cacciatori-raccoglitori nella foresta fino ai giochi di parole. Sembra cioè sufficiente per tutte le necessità umane.

Sarà vero? Per saperlo bisognerebbe conoscere più a fondo il riau (e il suo rapporto con l'indonesiano, che invece ha una discreta complessità grammaticale)... L'idea comunque è affascinante, e conferma alcuni miei sospetti di fondo. La complessità delle nostre lingue, probabilmente, è una complessità inutile.

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