giovedì 30 aprile 2009

Metitieri, Il grande inganno del web 2.0

Visto e comprato: un libro intelligente e divertente! Ha il limite di essere più un pamphlet che una vera ricerca, per cui moltissime affermazioni sono lanciate là e non documentate. Però merita.

Il bersaglio polemico più importante sono i blog in generale, e i blog italiani in particolare. Come dargli torto? Qui da noi non è emerso quasi nessun blog importante; ce ne sono diversi di ottima qualità, ovviamente, ma non hanno certo un pubblico significativo. Alcuni li ho elencati nel menu qui a sinistra... ma, appunto, a parte il blog di Paolo Attivissimo, nessuno di loro è particolarmente famoso.

lunedì 20 aprile 2009

Un archivio per le facce

Il mio problema di memoria... beh, continua a essere un problema!

Oggi a ricevimento si è presentata una studentessa della laurea specialistica per un programma da concordare. Io le ho chiesto un po' di informazioni sugli esami sostenuti e poi anche un dato non secondario: con chi si era laureata alla triennale?

Risposta: ehm... con lei, professore.

Momento di imbarazzo.

Anche più di un momento, perché è una laurea di pochi mesi fa.

Cose del genere mi succedono ininterrottamente. Questo è il motivo per cui vado avanti con liste, archivi e calendari. Se ci sono appunti scritti, scalette e avvisi, i buchi di memoria fanno danni ridotti. Ma le facce sono ancora un problema! Forse dovrei creare un archivio fotografico di tutte le persone che conosco? E andare a consultarlo regolarmente? Un Facebook per la vita reale? Con promemoria via SMS per passarlo in rassegna ogni giorno?

domenica 19 aprile 2009

James G. Ballard è morto


Ho appena letto la notizia. Con lui ho avuto a che fare di persona tempo fa: ho contribuito a fargli un'intervista nel 1992 (o giù di lì) a Viareggio, a due passi da casa mia. Che fosse malato di un cancro inoperabile, si sapeva; ma è stata comunque una cosa inaspettata.

Per molti anni ho pensato che fosse il più grande scrittore del ventesimo secolo. Probabilmente lo penso ancora... E ho ancora il sospetto che L'astronauta morto sia il più bel racconto di fantascienza di tutti i tempi. A memoria, comincia così: "Le torri arrugginite di Cape Kennedy si ergevano verso il cielo come le cifre di una dimenticata algebra astrale".

Ma soprattutto, sono sicuro che la società post-televisiva lui l'aveva capita a fondo, quanto e meglio di chiunque altro, già negli anni Cinquanta.

Ne sentirò la mancanza, e non sarò il solo.

sabato 18 aprile 2009

Ma si può misurare la complessità linguistica?

 
 
La raccolta Language complexity as an evolving variable ha, dal punto di vista della presentazione, il limite (ovvio) di non essere un lavoro organico. I contributi degli autori sono armonizzati solo fino a un certo punto e quindi ci sono molte ripetizioni e molti interrogativi rimasti in sospeso.
 
Il più importante è il nodo della valutazione della complessità. Come si fa a dire se una lingua è più o meno complessa di un'altra? In astratto, il modo corretto consiste nell'avere un indicatore oggettivo e unico che descriva il grado di complessità di una lingua tenendo in considerazione tutti i suoi livelli (grammatica, sintassi, lessico...). In diversi contributi inclusi nel libro si lanciano accenni in questa direzione, per fare poi approfondimenti su singoli aspetti.
 
È quindi un po' sorprendente che il contributo più significativo in questa direzione sia il penultimo saggio incluso nel libro: "Overall complexity": a wild goose chase? di Guy Deutscher. Nove paginette (243-251) che però presentano il punto chiave. La grammatica moderna ha capito che la distinzione tra grammatica e lessico è molto più sfumata di quel che sembra a prima vista (ne parlavo qualche mese fa in un post su Jackendoff). E a questo punto, nota Deutscher, la complessità di una lingua "will crucially depend on the size of the lexicon, and it will vary enormously between individuals" (p. 248).
 
Questo mette in pratica la parola fine a una valutazione oggettiva e seria delle "lingue". Quelli che si possono misurare sono solo casi particolari: per esempio lingue molto simili tra di loro, differenziate da tratti ben definiti. In questa raccolta viene in effetti descritta almeno una situazione del genere, con un intervento di Östen Dahl sulle diversità tra lo svedese e la lingua parlata a Älvdalen in Svezia. Con la conclusione che l'ipotesi ALEC (All Languages are Equally Complex) può considerarsi falsificata.
 
Deutscher vuole comunque andare oltre la falsificazione di ALEC e insiste sull'impossibilità di avere una misura unica, e quindi di poter confrontare davvero le lingue nel loro assieme. Finiti di leggere i diversi contributi, sospetto che abbia ragione.
 

venerdì 17 aprile 2009

Iain M. Banks, Matter

Ho la fortuna di avere amici che mi regalano libri; e la fortuna (ancora più grande) di avere amici che sanno quali libri regalare...

Il regalo più recente è stato Matter di Iain M. Banks. È l'ultimo romanzo ambientato nell'universo della Cultura, ed è sorprendentemente ben fatto: non mi divertivo così tanto a leggere Banks dai tempi... beh, direi dai tempi della Mente di Schar (che, ahimè, è stato tradotto in italiano giusto vent'anni fa).

Inutile cercare di riassumere la vicenda, che ruota attorno a una contesa dinastica sul pianeta a livelli Sursamen. Abbandonato dai suoi costruttori un miliardo di anni prima, Sursamen ha due livelli, l'ottavo e il nono, abitati da esseri umani con un livello di tecnologia fine Ottocento; e ha, ovviamente, un dio alieno al centro, e un segreto nascosto da qualche parte. Quel che conta è, al solito, il quadro galattico, e Banks riesce a tenerlo in piedi meglio di tutti gli scrittori (molti dei quali scozzesi come lui...) che si sono gettati in questo filone di moda.

Le note di interesse linguistico sono poche, ma di classe. Innanzitutto i nomi delle astronavi e delle loro classi, che sono belli come al solito: It's My Party And I'll Sing If I Want To, Inspiral, Coalescence, Ringdown, You'll Clean That Up Before You Leave... Poi Banks fornisce una minima, ma problematica, indicazione sul Marain:

He had called himself a Wanderer (they were talking Marain, the Culture's language; it had a phoneme [sic] to denote upper case) (p. 370).

Chissà se Banks ha ben chiaro il concetto di "fonema"? Non sono male, invece, gli imperfetti tentativi di comunicazione da parte degli Oct, una delle razze senzienti che tengono sotto controllo Sursamen. Per esempio, questo discorso di ambasciatore:

"Grief is to be experienced, thereto related emotions, and much. I am unable to share, being. Nevertheless. And forbearance I commend unto you. One assumes. Likely, too, assumption takes place. Fruitions. Energy transfers, like inheritance, and so we share. You; we. As though in the way of pressure, in subtle conduits we do not map well" (p. 31).

Ma soprattutto, è molto bella la descrizione di questa interfaccia che una dei protagonisti usa per programmare il ritorno su (ehm, dentro) Sursamen:

Even without consciously thinking about it, she was there with a diagrammatic and data-ended representation of this section of the galaxy. The stars were shown as exaggerated points of their true colour, their solar systems implied in log-scaled plunge-foci and their civilisational flavour defined by musical note-groups (the influence of the Culture was signalled by a chord sequence constructed from mathematically pure whole-tone scales reaching forever down and up). An overlay showed the course schedules of all relevant ships and a choice of routes was already laid out for her, colour-coded in order of speed, strand thickness standing for ship size and schedule certainty shown by hue intensity, with comfort and general amenability characterised as sets of smells. Patterns on the strands - making them look braided, like rope - indicated to whom the ships belonged (p. 95).

Altro che il Route Planner Michelin, o il sito delle ferrovie tedesche! Un'interfaccia del genere farebbe sognare anche Edward Tufte.

martedì 14 aprile 2009

I prossimi impegni

Rivedendo in questi giorni i miei impegni da qui all'estate, ho scoperto con un po' di sorpresa che per interventi a convegni e assimilabili sarà il fumetto a farla da padrone.

Per gli interventi a convegni:
  1. il 24 aprile sarò a Napoli Comicon per partecipare alla presentazione della scuola di traduzione per il fumetto e l'editoria di Bologna
  2. dal 15 al 17 giugno sarò a Heidelberg con un intervento su La scrittura non standard nei fumetti italiani, da scrivere assieme a Fabio Gadducci per il Convegno/Workshop I(l) linguaggi(o) del fumetto / Die Sprache(n) der Comics
  3. il 26 giugno sarò a Cork con l'intervento Between Black and Yellow: Italian Comics and
    Crime Fiction all'interno del convegno Con(tra)vention
Inoltre, entro maggio-giugno devo consegnare diversi articoli sul fumetto:
  1. uno sul Giornale per i bambini da scrivere assieme a Fabio Gadducci per SIGNs
  2. uno per la rivista tedesca Zibaldone
  3. uno per gli atti del secondo convegno di Rovereto
Un programma relativamente intenso, insomma! Spero si riveli anche compatibile con la scrittura del libro sul linguaggio del web...

sabato 11 aprile 2009

Language complexity as an evolving variable: i presupposti polemici

 
 
Viviamo in tempi interessanti; e, sì, sono interessanti anche dal punto di vista degli studi linguistici. Il consenso chomskyano degli ultimi cinquant'anni si sta squagliando in alcune aree significative, e seguire il (e magari contribuire al) processo è molto divertente.
 
Un importante contributo in questa direzione viene dalla raccolta Language complexity as an evolving variable, appena pubblicato dalla Oxford UP a cura di Geoffrey Sampson, David Gil e Peter Trudgill. I contributi inseriti nel libro sono di qualità molto variabile, ma quel che conta è il discorso di base. Da mezzo secolo i linguisti hanno ripetuto un mantra poco dimostrato: tutte le lingue sono ugualmente complesse. Questa raccolta è il primo contributo organico a puntare in un'altra direzione.
 
In effetti, qualunque profano direbbe, e dice, che è ovvio che le lingue abbiano livelli diversi di complessità: il mandarino sembra molto complicato agli italiani, lo spagnolo invece è molto semplice, e così via. Il passo successivo però consiste nel riconoscere che questa diversità è direttamente dipendente dalla lingua madre: lo spagnolo non è affatto semplice per i cinesi, e così via. E poi, in molti settori, sembra che la semplicità di alcuni livelli sia compensata dalla complessità di altri. Per esempio, dire che al confronto del tedesco l'inglese ha una grammatica molto semplice, ma una fonetica (e un'ortografia) molto complessa è un luogo comune... io se non sbaglio l'ho incontrato per la prima volta, se non sbaglio, in Tre uomini a zonzo di Jerome K. Jerome.
 
Il passo immediatamente successivo è già più invischiato nella teoria: visto che il meccanismo di base delle lingue, in ottica chomskyana, è unico per tutti gli esseri umani, è tutt'altro che implausibile che il livello di complessità raggiunto sia determinato dalle caratteristiche dell'"organo della grammatica", e non da accidenti esterni. Inoltre, sono ben noti casi come quelli dei pidgin o delle lingue dei segni: codici di comunicazione molto semplici acquistano un bel po' di regole e di complessità appena una generazione di bambini li impara come lingue madri. È il meccanismo per cui dai pidgin si passa alle lingue creole, e sembra una prova evidente del fatto che un certo livello di complessità linguistica è la situazione naturale per gli esseri umani.
 
Delle conclusioni a cui arriva questa raccolta... parlerò in uno dei prossimi post!
 

mercoledì 8 aprile 2009

Seagulls screaming...

Yesterday I saw for the first time a seagull hunting and killing a pigeon (at 9:00 a.m., in Piazza XX settembre). I had already seen seagulls hunt pigeons, but that was the first time I saw one of them actually managing to catch the prey. The killer was a gabbiano reale, of course (Larus michahellis or argentatus).

Seagulls learned many things in the last few years. And they didn't need language: culture and imitation are enough for the task at hand, it seems.

In Leghorn, I have heard, seagulls hunt pigeons regularly, as in America and elsewhere. I like seagulls, but they can be also rather disquieting presences - as I saw in Inchcolm a couple of years ago.

Anyway, I would like to know what comes next. Pedestrians and cyclists, arguably... Now, if only Alfred Hitchcock could drop by for a quick survey of the location...

lunedì 6 aprile 2009

Idee sul futuro dell'editoria

Ho trovato un paio di video interessanti realizzati da BookNet Canada. Il più interessante è l'ultimo, un discorso di Michael Tamblyn sulle cose che potrebbe fare già adesso il mondo dell'editoria... niente di straordinario, ma alcune idee utili. E un link simpatico come quello a Zoomi: mi sono divertito a girare tra i reparti a schermo intero. Un po' lento il caricamento, a volte, ma questi problemi spariranno...

giovedì 2 aprile 2009

Quanta grammatica è necessaria?

Finalmente è stata pubblicata una raccolta di studi che aspettavo da qualche mese: Language complexity as an evolving variable, a cuira di Geoffrey Sampson, David Gil e Peter Trudgill. La raccolta mette in discussione da molti punti di vista un assioma della linguistica contemporanea (nella linea di Chomsky, almeno): tutte le lingue sono ugualmente complicate.

E invece, probabilmente, no...

Del grosso del volume parlerò in un prossimo post. Per ora mi limito a citare uno dei testi contenuti, How much grammar does it take to sail a boat? L'autore, David Gil, si risponde da solo: non molta.

Per rispondere, prende innanzitutto a modello una lingua che abbia parole prive di struttura morfologica, che non contenga categorie sintattiche tipo "nome" e "verbo", e che non abbia regole specifiche per la costruzione delle associazioni semantiche. Una lingua di questo genere viene definita IMA (isolating - monocategorical - associational) e in pratica si basa solo sull'accostamento di parole, producendo significato in base al contesto e facendo a meno di molti strumenti che noi prendiamo per scontati, dalla variazione morfologica alle regole sulla posizione di soggetto e oggetto.

Una lingua puramente IMA, dice Gil, non esiste; però secondo lui l'indonesiano della provincia di Riau si avvicina molto a questo ideale. Le frasi riau possono essere del tipo ayam makan, "pollo mangiare", per indicare cose molto diverse come 'il pollo mangia', 'il pollo è stato mangiato' e così via. In aggiunta a questa non-struttura, Gil aggiunge che il riau viene usato per comunicare a tutti i livelli: dall'insegnamento universitario alle conversazioni dei cacciatori-raccoglitori nella foresta fino ai giochi di parole. Sembra cioè sufficiente per tutte le necessità umane.

Sarà vero? Per saperlo bisognerebbe conoscere più a fondo il riau (e il suo rapporto con l'indonesiano, che invece ha una discreta complessità grammaticale)... L'idea comunque è affascinante, e conferma alcuni miei sospetti di fondo. La complessità delle nostre lingue, probabilmente, è una complessità inutile.
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