domenica 22 marzo 2009

Simone, La terza fase

Il libro è stimolante ma mi ha deluso: da Raffaele Simone mi aspettavo uno studio più approfondito.

Il libro parte da una domanda importante: "come si conserva e trasmette quel che sappiamo?" (p. X). L'idea di Simone è che rispetto al passato "I saperi che circolano oggi, nella Terza Fase, sono meno articolati, meno sottili, e, addirittura, possono fare a meno di basarsi su formulazioni verbali" (p. XII).

Il primo capitolo è dedicato al rapporto tra vista e udito ("L'ordine dei sensi"). La "visione alfabetica" (ma in realtà Simone parla, senza accorgersene, di "visione data dalla scrittura": possibile anche in sistemi non alfabetici) concilia i due sensi in un'unità superiore.

Poi Simone passa a dire che la "visione alfabetica" è arrivata, dopo secoli di espansione, al momento del declino. "Questo fenomeno non dà manifestazioni dirette e clamorose, ma si lascia osservare solamente attraverso indizi. Uno di questi è costituito dal graduale arrestarsi, in tutto il mondo, del decremento dell'analfabetismo, e, corrispettivamente, dall'enorme aumento della varietà degli stimoli uditivi che veicolano messaggi e della tipologia delle immagini visive" (pp. 21-22).

Davvero? Per quanto riguarda la seconda parte dell'argomento, perché mai la varietà di immagini visive e messaggi dovrebbe, di per sé, andare a detrimento della lettura? Tutti i dati che abbiamo vanno in direzione opposta (v. Morrone e Savioli).

E per quanto riguarda la prima parte, dire che una cosa cresce più lentamente vuol dire che è arrivato il suo declino? Ne dubito. L'accesso a un determinato stile di vita è causa ed effetto di un rapporto diverso con la lettura e il "decremento dell'analfabetismo" mi sembra collegabile più alle dinamiche sociali ed economiche che a qualunque altro fattore. Negli ultimi vent'anni masse immense sono uscite dalla povertà e hanno cominciato a fare lavori che richiedono spesso, tra le altre cose, capacità di lettura; se il processo continuerà, perché non dovrebbero accedere a questo tipo di interazione anche tutti gli esseri umani che ora ne sono esclusi?

Guardare, dice poi Simone, è più facile che leggere. E fin qui tutto bene. Ma siamo sicuri che questo voglia dire che oggi ci sia uno "spostamento" in direzione del guardare o sentire e a danno del leggere? In fin dei conti, su Internet si vedono molti video ma nessuno (o quasi) si mette a guardare video per imparare, per esempio, a programmare in Java - a meno che il video non sia davvero utile! La "facilità" d'uso è importante, ma non è certo l'unico fattore nella scelta degli strumenti o delle attività. Alcune competenze e conoscenze si acquisiscono molto meglio passando dalla lettura; finché queste competenze e conoscenze saranno richieste, e finché praticamente tutti gli abitanti delle società economicamente progredite impareranno a leggere e a scrivere, non vedo come la lettura possa ridursi d'importanza al loro interno.

Per ricostruire il suo schema Simone si basa su un libro di Detti che non ho letto; può darsi che lì ci siano informazioni diverse da quelle che ho io. Ma ne dubito. Simone però non esibisce dubbi. Citando un libro di Sartori (purtroppo non conosco neanche questo... ma, di nuovo, dubito che possa essere una base solida per considerazioni del genere!) arriva a dire che "Oggi è tornata a dominare la visione non-alfabetica, e una varietà di analisi si sono soffermate su questo fatto" (p. 23). "Fatto", nientemeno! Non "ipotesi", o "idea"... fatto.

Eppure di statistiche non c'è traccia. Si può dimostrare che per esempio i giovani italiani hanno meno confidenza con la scrittura o la lettura rispetto ai loro concittadini più anziani? Tutti i dati che abbiamo mostrano il contrario.

Altri punti del libro danno dubbi perfino dal punto di vista scientifico. Alle pp. 30-31 si parla dell'origine del linguaggio ma diverse osservazioni fatte mi lasciano perplesso. Per esempio si dice che per la "nascita della fonazione" "alcuni propongono 25.000, altri 35.000 anni fa, altri date ancora più remote" (p. 31)! Io non ho mai visto stime inferiori ai 30.000 anni e penso che oggi nessuno abbia il coraggio di sostenere che un linguaggio articolato non esistesse nel 23.000 AC! Tra l'altro, si pensa che gli abitanti della Tasmania o delle Andamane possano essere rimasti isolati per 40.000 anni, e loro il linguaggio ce l'hanno... (anche se, a dire il vero, il loro isolamento risale forse a "solo" 12.000 anni fa, con la deglaciazione). Qualcuno avrà fatto anche stime così basse - non pretendo di conoscerle tutte - ma il punto è che il consenso oggi punta a date molto più remote, dai 50-60.000 anni minimo (con l'uscita dei sapiens dall'Africa) fino all'homo erectus, arrivando agli estremi di Alinei (che ritiene che gli attuali gruppi linguistici proseguano le lingue dei gruppi separatisi due milioni di anni fa; ipotesi un po' estrema, ma ammissibile).

Il capitolo 2 del libro è dedicato ai "Destini del parlare", e descrive i pregiudizi contro i linguaggi umani. Interessante, ma unilaterale. Perché non descrivere anche gli elogi della voce, che sono numerosi (a partire, per me, da quelli di Bembo)? Citazione citabile, per me, parlando di chat: "lo scritto e il parlato tendono sempre di più a coincidere o per lo meno a somigliare" (p. 49). Ma no! Si è creato uno spazio intermedio, ma lo scritto-scritto è ben vivo e il fatto che tra i due poli ci siano scalini meno bruschi non vuol affatto dire che uno dei due scompaia.

Eccetera. Nel resto del libro ci sono molte osservazioni interessanti, e alcune interessantissime (come la discussione dei "fenomeni vaghi", p. 125). Ma è il quadro complessivo che, semplicemente, non funziona.

Altra citazione citabile: "la scoperta e la pratica della scrittura devono aver avuto effetto anche sulla strutturazione delle lingue (...) anche la Terza Fase avrà prodotto e starà producendo cambiamenti nell'organizzazione del linguaggio, nella sua qualità e nel suo modo di 'cogliere' le cose" (pp. 123-124). Forse. Di sicuro gli esempi forniti (la posta elettronica e gli SMS hanno modoficato "il concetto stesso di lettera", p. 124) non sono poi così epocali.

Un aspetto da approfondire: il chiacchiericcio. Ebbene sì, la voce ha meno applicazioni pratiche di quanto generalmente si pensi. Personalmente, credo da anni che il vantaggio evolutivo dato dal linguaggio, più che alla trasmissione di dati ("Tre tigri dai denti a sciabola in avvicinamento da nord-est, ma non hanno l'aria affamata...") sia collegabile alla selezione sessuale e al mantenimento dei rapporti sociali ("Sei bellissima, stasera"). L'impiego per la trasmissione di conoscenze è solo uno degli usi del linguaggio, e direi che, per quanto fondamentale, è del tutto minoritario nell'uso quotidiano della lingua... al di fuori dei canali formalizzati di istruzione.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

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